Le fattorie olandesi emettono troppo azoto. Mentre le scadenze slittano, gli ecosistemi soffrono e gli obiettivi ecologici dell'UE sono in bilico. Produzione alimentare e salvaguardia della natura possono coesistere in Europa?
I Paesi Bassi sono il secondo esportatore mondiale di prodotti agricoli e il ground zero della crisi dell'azoto in Europa. Su ogni acro di terra coltivata, l'azoto è tre volte superiore alla media europea. Eppure, il governo ha posticipato di cinque anni, al 2035, la scadenza per dimezzarne le emissioni. Una mossa che va contro la giustizia nazionale e la normativa europea, che mira a un inquinamento da nitrati vicino a zero entro il 2050. Tra le cause principali, c'è l'agricoltura intensiva.
Nei Paesi Bassi ci sono 620 capi di bestiame ogni 100 abitanti. Tutti questi animali, concentrati relativamente in poco spazio, producono carne, salumi e latte, ma anche enormi quantità di un sottoprodotto sempre più difficile da gestire: il letame.
L'allevatrice Nanda van den Pol spiega che le 90 mucche della sua azienda di famiglia producono 30 litri di latte ciascuna al giorno e 3000 metri cubi di letame all'anno. È l'equivalente di 40 piscine piene di liquame. Dove va a finire?
"Al momento possiamo versare l'80% di questo letame nei nostri campi e dobbiamo smaltire il restante 20%", spiega Nanda.
L'anno scorso la sua fattoria ha pagato circa 100.000 euro per smaltire il liquame in eccesso. Una cifra che secondo le sue stime potrebbe arrivare a 400.000 euro nei prossimi due anni, in quanto sempre meno residui si potranno disperdere nei campi.
"Se andrà tutto come stanno dicendo ora, non credo che la nostra fattoria esisterà più nel 2030", dice Nanda. "Già. Vuoi far parte della soluzione, ma lo rendono impossibile. È così difficile non avere potere in tutto questo".
Per le ONG ambientaliste, la decisione del governo di posticipare i target sulle emissioni di azoto sta mettendo a rischio gli ecosistemi. Abbiamo incontrato un esponente dell'organizzazione MOB (Mobilisation for the Environment), nota per aver portato Stato e agricoltori a processo in difesa dell'ambiente.
"Questo è il mio giardino, ma confina con l'area Natura 2000 chiamata Kwade Hoek", dice l'attivista Max van der Sleen. "Da qui, si può cercare di capire la perdita di biodiversità. Qui davanti ci sono solo rovi. Un tempo c'era una bella vegetazione dunale, ormai completamente ricoperta da ortiche e luppolo. E questo cambia gli ecosistemi".
Nei Paesi Bassi, solo il 28% delle aree protette Natura 2000 è in buone condizioni, spiega Max. Questi siti sono stati creati per proteggere le specie e gli habitat più preziosi e a rischio d'Europa. Per Max, il governo olandese non sta facendo la sua parte.
"Il governo non vuole agire così rapidamente, entro cinque anni, e ha una buona giustificazione. Dice che il costo sociale sarebbe molto alto, ma la situazione è nota già da 40 anni. La regolamentazione secondo cui dovrebbe agire è del 2019."
L'ONG di Max non vuole che le fattorie chiudano, ma che trovino un equilibrio tra produzione e protezione della natura.
"Non sono i contadini a non volerlo fare. Se si desse loro la possibilità di andare nella direzione di un'agricoltura più sostenibile, lo farebbero. Ma il governo deve permetterlo."
Perché è così difficile per i Paesi Bassi, ma anche per altri Paesi europei, ridurre l'inquinamento da azoto? Jan Willem Erisman, professore di Sostenibilità Ambientale presso il Leiden Institute of Environmental Sciences, spiega che spesso si sottovaluta il fatto che il cambiamento agricolo è un processo a lungo termine, mentre la politica "ha bisogno di soluzioni immediate".
"Dovrebbe esserci una politica a lungo termine che gradualmente aiuti gli agricoltori a passare a un'agricoltura sostenibile e li sostenga passo dopo passo. Ma non c'è", spiega il professor Erisman.
Mentre le scadenze continuano a slittare, nei Paesi Bassi e nel resto d'Europa il costo dell'inazione cresce per gli agricoltori, per gli ecosistemi e per l'agenda verde europea. Resta da chiedersi se il cambiamento arriverà in tempo e a quale prezzo.