Il divieto ungherese delle parate del Pride scatena la reazione di Paesi Ue e Commissione: violati i diritti di riunione e di espressione per le persone Lgbtiq+
Il parlamento di Budapest ha appena approvato un emendamento alla costituzione che vieta le parate pubbliche del Pride, qualificandole come “eventi non conformi alla legge sulla protezione dell’infanzia”. La decisione ha suscitato un’ondata di critiche nei Paesi europei, che vedono il provvedimento come un attacco ai diritti di riunione pacifica e di libertà di espressione della comunità Lgbtiq+.
Il Benelux guida la condanna
Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo hanno letto una dichiarazione congiunta in un incontro informale dei ministri Ue: “Le leggi ungheresi minano i diritti delle persone Lgbtiq+ e limitano le libertà fondamentali”, recita il testo. Ad appoggiare la denuncia si sono uniti Austria, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Irlanda, Lituania, Portogallo, Slovenia, Spagna e Svezia, mentre Francia, Grecia e Cipro hanno espresso critiche più generiche rivolte ai “recenti sviluppi” in Europa.
Divieto e multe: come funziona la normativa
La nuova legge proibisce eventi pubblici che, a giudizio delle autorità, contravvengono ai divieti di “contenuti non idonei ai minori”. Le parate del Pride — inclusa quella di Budapest, richiamo per migliaia di partecipanti — sono anch’esse vietate. Chi organizza o partecipa rischia l’identificazione tramite riconoscimento facciale e sanzioni fino a 200.000 fiorini (circa 485 euro), recuperabili come tasse in caso di mancato pagamento.
Modifiche costituzionali e diritti negati
Con l’emendamento alla costituzione, l’Ungheria dichiara che i diritti dei bambini prevalgono su ogni altra libertà (eccezion fatta per il diritto alla vita) e sancisce l’esistenza di due soli sessi, maschile e femminile. Questo passaggio nega di fatto le identità transgender e intersessuali e concede al governo poteri straordinari, tra cui la sospensione della doppia cittadinanza per alcuni connazionali.
Budapest contro Bruxelles: lo scontro istituzionale
Il primo ministro Viktor Orbán, fautore di un’agenda “illiberale”, ha difeso il provvedimento come tutela del “buon senso” e della “protezione dei minori”.
Ma la Commissione europea ha già preannunciato possibili ricorsi alla Corte di giustizia Ue per violazione dei diritti fondamentali. Parallelamente, la stessa legge madre del 2021 — su cui si fonda il divieto del Pride — è al vaglio di un contenzioso europeo sostenuto da 15 Stati membri.
Conflitti multipli: AI, migrazione e relazioni con la Russia
Il bando del Pride solleva anche dubbi sulla compatibilità con la normativa Ue sull’intelligenza artificiale, che limita l’uso del riconoscimento facciale dalle forze dell’ordine. Inoltre, Bruxelles multa l’Ungheria un milione di euro al giorno per il mancato rispetto delle regole su migrazione e asilo. Infine, le posizioni filorusse di Orbán sulle sanzioni e l’adesione dell’Ucraina minacciano di isolare Budapest nel Consiglio europeo.
Quali sviluppi per il futuro?
Il contrasto tra Ungheria e istituzioni Ue rischia di acuirsi: da un lato Budapest sembra determinata a proseguire la propria “rivoluzione illiberale”; dall’altro Bruxelles ha gli strumenti legali per far valere il diritto comunitario. Nei prossimi mesi, la Corte di giustizia UE potrebbe pronunciarsi sia sul divieto del Pride sia su altre violazioni di diritti civili, sancendo un precedente cruciale per l’unità e i valori europei.