Le persone a bordo della nave Libra sono cittadini di diversa nazionalità che, nei giorni scorsi, sono giunti nel Cpr di Brindisi. L'europarlamentare del Pd Cecilia Strada ha affermato che i migranti sono sbarcati in manette
La nave Libra con a bordo i 40 migranti trasferiti dall'Italia è arrivata a Shengjin, in Albania. L'imbarcazione era partita questa mattina da Brindisi.
Secondo l'europarlamentare del Pd Cecilia Strada, in visita nel porto di Shengjin i migranti a bordo della Libra "scendevano ammanettati".
Tre pullman hanno trasferito le persone nel centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Gjader, scortati dalle camionette di polizia, carabinieri e Guardia di Finanza. Ad attenderli alcuni giornalisti e l'europarlamentare Strada.
Il centro di Gjader attualmente ha la possibilità di accogliere 48 persone ma la capienza dovrebbe presto essere incrementata.
Nelle intenzioni del governo, il Cpr di Gjader dovrebbe essere riservato ai migranti che in Italia hanno già ricevuto un decreto di espulsione. Secondo i piani, la seconda struttura - a Shengjin - sarebbe invece destinata a diventare un hotspot per l'identificazione.
I migranti a bordo della nave Libra sono cittadini di diversa nazionalità che, nei giorni scorsi, sono giunti nel Cpr di Brindisi, a Restinco, e per i quali il governo italiano ha disposto il trasferimento in Albania.
Migranti, riprendono i trasferimenti dopo mesi di tira e molla
Il piano del governo italiano per esternalizzare parte della gestione dei flussi migratori in Albania era rimasto finora al palo. A rallentare – e di fatto fermare – l'attuazione del progetto erano intervenuti tre pronunciamenti della magistratura italiana, che avevano sospeso i trasferimenti e rimandato la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione europea.
A ridare vita al Protocollo Italia-Albania in materia migratoria è stato il Consiglio dei ministri, che a fine marzo ha approvato un nuovo decreto-legge. Il provvedimento rivede la natura giuridica dei centri in Albania, inserendoli nella cornice della detenzione amministrativa. Si tratta di un espediente normativo che punta a superare le obiezioni sollevate dai giudici.
Dopo l'approvazione del decreto dello scorso 28 marzo, non solo i richiedenti asilo soccorsi in mare, ma anche quelli già in Italia - destinatari di un provvedimento di espulsione - potranno essere trasferiti in Albania e trattenuti nel Centro per il rimpatrio (Cpr) di Gjadër.
Attesa per la decisione della Corte di Giustizia su Paesi sicuri
Dietro lo stallo del piano per i trasferimenti dei richiedenti asilo in Albania c’è una questione giuridica cruciale: la legittimità della lista dei cosiddetti “Paesi d’origine sicuri”. Proprio su questo punto si sono arenate, nei mesi scorsi, le convalide dei trattenimenti nei centri albanesi, costringendo la magistratura italiana a ricorrere alla Corte di giustizia dell’Unione europea.
Mentre la sentenza è attesa prima dell’estate, arrivano intanto le conclusioni dell’avvocato generale Jean Richard de la Tour. Sebbene non vincolanti, offrono una chiara direzione ai giudici europei: sì alla designazione di un Paese come “sicuro”, ma solo a patto che questo garantisca, in maniera duratura e diffusa, il rispetto dei diritti fondamentali. E non si possono ignorare eventuali categorie di persone a rischio, come giornalisti o oppositori politici. Una precisazione che mette in discussione l’inserimento nella lista – avvenuto con decreto – di Paesi come Egitto o Bangladesh.
Il parere dell’avvocato introduce vincoli stringenti: serve un controllo giurisdizionale effettivo, devono essere resi pubblici i dati su cui si basa la designazione e lo Stato membro deve individuare – e tutelare – le categorie vulnerabili.
Lo scorso ottobre, la Corte aveva già messo in dubbio la possibilità di escludere intere aree geografiche da valutazioni di rischio, mentre ora si punta a chiarire se siano ammissibili le esclusioni su base personale. Il rischio, secondo l’avvocato, è che il concetto stesso di “Paese sicuro” venga svuotato, se applicato in modo troppo disinvolto.
Il messaggio è chiaro: anche se la designazione arriva tramite legge o decreto, resta soggetta a verifica giudiziaria. Una risposta indiretta ai ministri Nordio e Piantedosi, che avevano sostenuto l’insindacabilità della scelta da parte dei giudici. Ma per Bruxelles, garantire le tutele previste dalla direttiva 2013/32 resta una priorità, e nessun atto legislativo può eluderle.