La dipendenza tecnologica dei giovani è aumentata con la pandemia?

Prima della pandemia un liceale trascorreva in media circa sette ore al giorno di fronte a uno schermo. Pari a 2400 ore l'anno.
L’isolamento imposto dalla crisi del COVID-19 ha reso la vita dei giovani europei ancora piú ''virtuale''. Aumenta il numero dei genitori preoccupati per le ore interminabili che i figli trascorrono su computer e smartphone. Temono che questo utilizzo forzato possa sfociare nella dipendenza.
La tecnologia ci salva o rovina la vita?
Benedetta Melegari, studentessa del Liceo Linguistico Internazionale ''Grazia Deledda'' di Genova, racconta la sua esperienza:
Benedetta ha 18 anni ed è tra quel miliardo e seicentomila studenti a cui la pandemia ha scombinato didattica e programmi. Da quasi un anno le sue lezioni si sono svolgono quasi ininterrottamente a distanza.
La didattica a distanza ha consentito di mantenere una sorta di continuità educativa durante la crisi, ma è stata anche ferocemente criticata. Tra i motivi, tiene gli studenti incollati agli schermi troppo a lungo. Eppure, non tutti concordano.
Secondo Roberto Rebora, insegnante di inglese presso il Liceo Linguistico Internazionale "Grazia Deledda", bisogna fare una distinzione:
"I ragazzi iniziano ad avere un rifiuto dello schermo perché lo associano a tante ore di didattica a distanza. Questo, però, non esclude che utilizzino il cellulare, che è diventata una relativamente nuova metodologia d'incontro. In questo momento forse l’unica ".
Benedetta ammette che il tempo trascorso sullo smartphone è salito alle stelle dall’inizio della pandemia. Ci dice di passare anche ore sui social senza rendersene conto. Si descrive così:
"Sono meno invogliata a fare le cose. Sono proprio più pigra, quindi tendo a dire: ‘va beh, mi riposo cinque minuti’ e poi finisco per passare due ore sul divano, su Instagram o Tik Tok. Succede soprattutto la sera, cosa che poi non mi fa nemmeno dormire. Mi sento sveglia, agitata, infatti sto avendo un po' di problemi a prendere sonno".
Serena Vella, madre di Benedetta, ci racconta i suoi timori: "Con tutte queste ore davanti al computer, i ragazzi interagiscono meno nell'ambito familiare. Come genitore mi pongo spesso la domanda se può portare a una qualche forma di dipendenza”.
Un team di esperti contro la dipendenza tecnologica
La madre di Benedetta non è l'unica ad allarmarsi, né la prima. Il Servizio per le Dipendenze dell'Azienda Sanitaria genovese (SERT, ASL3) aveva creato una sezione ad hoc già nel 2017. Abbiamo assistito a una riunione del loro team di esperti.
Margherita Dolcino, psicologa responsabile del progetto MySpace per adolescenti, fotografa una situazione delicata: "Nel post lockdown abbiamo raddoppiato le richieste di aiuto e di intervento. Negli ultimi tre mesi, quindi parlo di ottobre, novembre e dicembre, abbiamo avuto dieci ragazzi presentati come dipendenti tecnologici".
La coordinatrice Cristiana Busso spiega che i nuovi pazienti sono prevalentemente maschi tra i 13 e i 20 anni. Avevano già un rapporto non sano con i dispositivi tecnologici prima della pandemia. La didattica a distanza non è la causa della loro dipendenza.
"Misurare la dipendenza tecnologica attraverso il fattore del tempo non è tanto consigliato - chiarisce Cristiana Busso - anche se i genitori presentano questo problema del tempo come quello principale. Forse la dipendenza può evidenziarsi meglio attraverso la modalità dell'uso".
Forse la dipendenza può evidenziarsi meglio attraverso la modalità dell'uso. Le domande che dobbiamo porci sono: Come usa la Rete? Perché la usa così tanto?".
La generazione iperconnessa. Come capire quando c'è un problema?
Se non attraverso il fattore tempo, allora come si può identificare la dipendenza all’interno di una generazione iperconnessa? Lo abbiamo chiesto, a Parigi, a uno dei piú noti ricercatori nell'ambito delle dipendenze tecnologiche. Michaël Stora è psicologo, autore e fondatore dell'Osservatorio sui Mondi digitali nelle Scienze Umane.
Stora sostiene che il 98% dei giovani che soffre di questa problematica ha un alto quoziente intellettivo, spesso associato a fobie sociali, scolastiche e a problemi nella sfera dell’autismo:
"Quando questi giovani si confrontano con un fallimento, crollano. I videogiochi diventano una sorta di antidepressivo interattivo. Soprattutto, i videogiochi consentono loro di trasformarsi in eroi virtuali, di continuare a combattere ottenendo ottimi risultati. Accumulano vittorie, ma vittorie rapide, al contrario della vita reale, dove il successo richiede tempo e bisogna perseverare".
"Trasformare la dipendenza in una risorsa"
Stora è convinto che per questi ragazzi la dipendenza dai video game possa essere trasformata in una risorsa. È così che ha laciato il progetto "La scuola degli eroi", dove giovani giocatori compulsivi imparano a creare videogiochi.
È il caso di Fidy, sedici anni. È descolarizzato da un anno. Presenta la sindrome di Asperger, un disturbo della sfera dell’autismo che mette alla prova le sue relazioni sociali.
Per suo padre, oggi la tecnologia è un’alleata: "Considerando la sua condizione - dice - i videogiochi sono un rifugio, un luogo dove si sente bene. Dove è felice. Quindi sono una consolazione, piuttosto che un problema di dipendenza da risolvere".
È ancora presto per analizzare la globalità degli effetti dell'isolamento sociale prolungato sui giovani. C'è bisogno di più tempo per capire se l'aumento della dipendenza tecnologica finirà con la pandemia e in che misura è reversibile.
➡️per approfondire: https://www.ecepaa.eu/the-impact-of-covid-19-on-schools-in-europe/
➡️ https://euobserver.com/social/150055
➡️ https://www.europeandataportal.eu/en/impact-studies/covid-19/education- during-covid-19-movingtowards-e-learning