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L'olio di argan è l'oro dell'industria cosmetica, ma la siccità minaccia gli alberi del Marocco

Una donna versa le noci di argan per estrarre l'olio in una cooperativa di Essaouira, in Marocco.
Una donna versa le noci di argan per estrarre l'olio in una cooperativa di Essaouira, in Marocco. Diritti d'autore  AP Photo/Mosa'ab Elshamy
Diritti d'autore AP Photo/Mosa'ab Elshamy
Di Sam Metz Agenzie: AP
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L’olio di argan sostiene donne e foreste in Marocco, ma la sua crescente domanda globale rischia di distruggere tradizioni e biodiversità

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Scorre tra le dita come oro liquido, vellutato e nutriente. L’olio di argan è celebrato ovunque come elisir di bellezza, ma in Marocco è molto più di un cosmetico. È radice culturale, fonte di sussistenza, simbolo di resilienza femminile e componente essenziale di un ecosistema ora gravemente minacciato.

L’estrazione dell’olio di argan resta un processo antico e faticoso. Le donne si accovacciano per ore davanti a mulini di pietra, macinano i semi e spremono l’olio a mano, con pazienza e forza. Due giorni di lavoro fruttano circa 2,60 euro per ogni chilogrammo prodotto, un guadagno modesto, ma spesso l’unica fonte di reddito in molte aree rurali dove le opportunità scarseggiano. "Siamo nati e cresciuti con queste tradizioni", racconta Fatma Mnir, lavoratrice di una cooperativa femminile. "È ciò che abbiamo ereditato dai nostri genitori e nonni".

Una volta presente solo nei mercati locali, oggi l’olio di argan si trova nei prodotti di lusso delle grandi catene internazionali. Ma la fama globale ha avuto un prezzo: la foresta di argan, unica al mondo, si sta diradando. La raccolta intensiva, unita alla siccità persistente, sta mettendo a dura prova questi alberi secolari, una volta noti per la loro resistenza a climi estremi.

Una foresta di alberi di argan a Essaouira, in Marocco
Una foresta di alberi di argan a Essaouira, in Marocco AP Photo/Mosa'ab Elshamy

"Se perdiamo questi alberi, perdiamo ciò che ci definisce", afferma Hafida El Hantati, fondatrice della cooperativa Ajddigue vicino a Essaouira. Il rischio è concreto. Per secoli, gli alberi di argan hanno fornito sostentamento agli abitanti delle colline tra l’Atlantico e l’Alto Atlante. Hanno frenato l’avanzata del deserto, nutrito persone e animali, sostenuto un ecosistema fragile. Le loro radici profonde — fino a 35 metri — assorbono l’acqua dove il terreno sembra morto, e persino le capre, arrampicandosi sui rami, aiutano a diffonderne i semi.

Nel tempo, però, le pressioni sono aumentate. Le piogge si sono fatte sempre più rare, i frutti maturano prima del previsto e i raccolti si sono ridotti. Le foreste sono spesso sostituite da colture redditizie come pomodori e agrumi, destinati all’esportazione. Le antiche regole di gestione collettiva del territorio si stanno dissolvendo, e furti di frutti e legna sono ormai frequenti.

Le capre si arrampicano e si nutrono di un albero di argan a Essaouira, in Marocco
Le capre si arrampicano e si nutrono di un albero di argan a Essaouira, in Marocco AP Photo/Mosa'ab Elshamy

Secondo le stime, la foresta di argan si è ridotta del 40 per cento rispetto all’inizio del secolo. "La loro scomparsa è una catastrofe ecologica", avverte Zoubida Charrouf, chimica dell’Università Mohammed V di Rabat, pioniera nella ricerca sull’argan. Gli alberi, un tempo simbolo di resistenza, oggi cedono sotto il peso del cambiamento climatico, del pascolo incontrollato e persino dei cammelli allevati per moda o prestigio. Questi ultimi, alzando il collo, strappano interi rami, infliggendo danni permanenti.

Nel frattempo, centinaia di cooperative trasformano i frutti in olio, ma i margini restano bassi. Le grandi aziende come L’Oréal, Estée Lauder e Unilever acquistano l’olio grezzo attraverso intermediari, che spesso trattengono la maggior parte dei guadagni. Una bottiglia da un litro oggi costa circa 600 dirham (57 euro), contro i 25 dirham (2,38 euro) di trent’anni fa, ma la ricchezza generata raramente raggiunge chi produce.

Le donne rompono le noci di argan in una cooperativa che estrae e produce olio e prodotti di argan, a Essaouira, in Marocco
Le donne rompono le noci di argan in una cooperativa che estrae e produce olio e prodotti di argan, a Essaouira, in Marocco AP Photo/Mosa'ab Elshamy

Molte cooperative non riescono a garantire nemmeno il salario minimo. "Chi vende il prodotto finito è chi guadagna davvero", spiega Jamila Id Bourrous, presidente dell’Unione delle Cooperative femminili di Argan. La pandemia ha aggravato la situazione, facendo crollare la domanda e spingendo molte piccole realtà alla chiusura. La concorrenza è aumentata, i frutti sono diminuiti, e le donne lavorano di più per ottenere meno.

Alcuni parlano apertamente di monopolio. Khadija Saye, cofondatrice della cooperativa Ageourde, accusa le multinazionali di schiacciare i produttori locali. "Non è concorrenza. È soppiantamento", dice. Secondo le cooperative, un’unica azienda — Olvea — detiene il 70 per cento del mercato delle esportazioni. Grazie alle sue dimensioni, può gestire grandi ordini che le cooperative non riescono a soddisfare, costringendole ad accettare pagamenti anticipati a prezzi bassi.

Un lavoratore dell'amministrazione locale irriga gli alberi di argan appena piantati per contribuire alla lotta contro la siccità e la deforestazione, a Essaouira, in Marocco
Un lavoratore dell'amministrazione locale irriga gli alberi di argan appena piantati per contribuire alla lotta contro la siccità e la deforestazione, a Essaouira, in Marocco AP Photo/Mosa'ab Elshamy

Nel tentativo di invertire la rotta, il governo marocchino ha avviato progetti di riforestazione. Su una collina che domina l’oceano, alberi giovani vengono piantati alternandoli a capperi, una tecnica agricola pensata per preservare l’acqua e arricchire il suolo. È un programma ambizioso, iniziato nel 2018, ma i risultati sono lenti. Gli alberi dovevano produrre già quest’anno, ma la siccità ne ha ritardato lo sviluppo.

Anche la catena di distribuzione è sotto accusa. "Tra la donna che raccoglie l’argan e il compratore finale ci sono almeno quattro intermediari", spiega Id Bourrous. "Ogni passaggio toglie valore a chi lavora". Il governo ha tentato di costruire magazzini per permettere alle cooperative di conservare l’olio e negoziare da una posizione più forte, ma le strutture finora non hanno dato i risultati sperati. Una nuova versione è prevista per il 2026, con l’obiettivo di ridurre le barriere d’accesso.

Una donna rompe noci di argan in una cooperativa che estrae e produce olio e prodotti di argan, a Essaouira, in Marocco
Una donna rompe noci di argan in una cooperativa che estrae e produce olio e prodotti di argan, a Essaouira, in Marocco AP Photo/Mosa'ab Elshamy

Eppure, nonostante tutto, le donne non smettono di raccogliere. Ogni anno, durante la stagione del raccolto, si inoltrano nella foresta con sacchi sulle spalle, cercando tra i rami i frutti rimasti. Per Hafida El Hantati, la foresta oggi è più silenziosa, meno viva. "Una volta ci andavamo all’alba e restavamo tutto il giorno. Gli alberi erano verdi tutto l’anno", ricorda.

Ora osserva le giovani generazioni allontanarsi, inseguendo istruzione e opportunità altrove. "Sono l’ultima generazione che ha vissuto queste tradizioni", dice con rammarico. "Matrimoni, nascite, persino il modo in cui facevamo l’olio… tutto sta svanendo".

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