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Acciaio, accordo storico tra Nippon Steel e US Steel: Washington nel consiglio d'amministrazione

Il Presidente Donald Trump parla con i lavoratori durante la visita allo stabilimento Mon Valley Works-Irvin della U.S. Steel Corporation. West Mifflin. 30 maggio 2025.
Il Presidente Donald Trump parla con i lavoratori durante la visita allo stabilimento Mon Valley Works-Irvin della U.S. Steel Corporation. West Mifflin. 30 maggio 2025. Diritti d'autore  AP/Julia Demaree Nikhinson
Diritti d'autore AP/Julia Demaree Nikhinson
Di AP with Eleanor Butler
Pubblicato il
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Il colosso giapponese acquisisce US Steel per 15 miliardi di dollari, ma con un prezzo politico: una “golden share” che consegna agli Stati Uniti poteri di veto su produzione, governance e delocalizzazione. È il nuovo volto della sicurezza economica americana

Dopo quasi diciotto mesi di tensioni, rinvii, interferenze politiche e timori legati alla sicurezza nazionale, l’acquisizione di US Steel da parte di Nippon Steel è realtà. L’annuncio è arrivato mercoledì: la giapponese Nippon ha chiuso l’accordo con il gigante dell’acciaio americano, nato a Pittsburgh e simbolo dell’industria pesante statunitense, per una cifra pari a 15 miliardi di dollari, tra capitale e debito. Ma il vero elemento di svolta non è solo finanziario: è politico e strategico.

L’accordo prevede infatti l’introduzione di una “golden share”, una quota simbolica ma potentissima che assegna al governo federale statunitense un ruolo diretto nella governance della nuova entità. Washington potrà nominare un consigliere indipendente e avrà diritto di veto su decisioni chiave che vanno dalla delocalizzazione della produzione, alla chiusura di impianti, alla concorrenza con produttori esteri. In sostanza, l’esecutivo americano potrà bloccare ogni mossa che ritenga contraria agli interessi strategici della produzione nazionale di acciaio.

L'intesa, siglata nonostante l’opposizione iniziale sia del presidente Joe Biden che del sindacato United Steelworkers, arriva dopo una lunga mediazione politica e una revisione supplementare disposta dall’ex presidente Donald Trump. Il cambio di rotta repentino – prima il blocco, poi l’apertura – ha aperto la strada a un compromesso senza precedenti: uno schema misto pubblico-privato, nel quale il governo americano non acquisisce quote societarie ma esercita comunque una supervisione formale su una delle industrie considerate vitali per la sicurezza nazionale.

Da parte sua, Nippon Steel si è impegnata a conservare il nome US Steel e a mantenerne la sede centrale a Pittsburgh. Ha promesso inoltre di non chiudere alcun impianto, di non procedere a licenziamenti legati alla fusione e di non importare semilavorati d’acciaio per alimentare la concorrenza con gli stabilimenti storici di Braddock, in Pennsylvania, e Gary, in Indiana. Ha anche annunciato investimenti per 11 miliardi di dollari fino al 2028 per ammodernare le infrastrutture americane, integrando le proprie tecnologie più avanzate nel cuore dell’acciaio USA.

La nuova società diventerà così il quarto produttore di acciaio al mondo, un gigante industriale con una capacità di 86 milioni di tonnellate annue, vicino all’obiettivo dei 100 milioni. Ma soprattutto, un soggetto capace di affrontare la concorrenza cinese in un settore considerato strategico non solo per l’industria pesante, ma anche per le infrastrutture, la difesa e la transizione energetica.

Secondo Anthony Rapa, esperto in operazioni e investimenti internazionali, l’intervento del governo Usa segna un passaggio cruciale nella visione economica americana: la sicurezza nazionale si intreccia ormai sempre più con la sicurezza economica. Una lettura condivisa da Anil Khurana, direttore del Baratta Center for Global Business alla Georgetown University, che sottolinea come la crescente rivalità con la Cina abbia allargato la definizione di cosa rientri oggi nella “sicurezza strategica”.

Nonostante le rassicurazioni, il sindacato dei metalmeccanici United Steelworkers rimane in stato d’allerta. Il contratto collettivo con US Steel scade nel 2026, e il presidente David McCall ha già promesso battaglia qualora l’accordo dovesse tradursi in riduzioni di benefit, pensioni o sicurezza occupazionale. “Se i nostri diritti o posti di lavoro verranno minacciati, siamo pronti a rispondere con tutta la forza dei nostri membri”, ha dichiarato.

L’acquisizione di US Steel da parte di Nippon Steel si chiude così come uno dei dossier industriali più complessi e politicizzati degli ultimi anni. Ma segna anche un precedente: quello di un nuovo modello di apertura agli investimenti esteri, condizionata però a un controllo sovrano più esplicito, soprattutto nei settori chiave per l’indipendenza strategica. Un equilibrio delicato, tra globalizzazione e protezionismo.

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