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Allargamento, Il Consiglio europeo frena su Belgrado: perché la Serbia resta al palo

Il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa saluta il presidente della Serbia Aleksandar Vučić presso la sede del Consiglio europeo a Bruxelles, in Belgio
Il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa saluta il presidente della Serbia Aleksandar Vučić presso la sede del Consiglio europeo a Bruxelles, in Belgio Diritti d'autore  Virginia Mayo/Copyright 2025 The AP. All rights reserved.
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Di Ljubiša Ivanović & Vladimir Bekić Euronews Srbija
Pubblicato il Ultimo aggiornamento
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La Serbia diserta il vertice Ue–Balcani occidentali in segno di protesta contro la frenata dei negoziati sull'allargamento. La Commissione aveva espresso parere positivo. E gli Stati membri sono divisi sui rapporti con Belgrado

Mentre Albania e Montenegro compiono nuovi passi verso l’adesione all'Unione europea, il cammino della Serbia si blocca alla soglia del terzo gruppo di capitoli negoziali: il cosiddetto Cluster 3.

Il presidente serbo Aleksandar Vučić ha deciso di disertare il vertice di Bruxelles tra l’Ue e i Paesi dei Balcani occidentali di questo mercoledì 17 dicembre, in segno di protesta contro la decisione del Consiglio Europeo di bloccare il percorso negoziale del suo Paese.

Ringraziando la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, e quello del Consiglio, Antonio Costa, il capo di Stato serbo ha annunciato che, per la prima volta negli ultimi quattordici anni, nessun rappresentante di Belgrado sarà presente: “Il vertice Ue–Balcani occidentali si terrà senza la Serbia”, ha concluso laconico Vučić.

Lo stop sulla soglia del Cluster 3 è avvenuto nonostante il parere positivo espresso lo scorso novembre dalla Commissione europea. Belgrado ha visto rallentare il proprio percorso verso l’Ue — iniziato nel 2009 con la richiesta di adesione — in coincidenza con lo scoppio della guerra in Ucraina.

Le relazioni con Bruxelles sono tese soprattutto a causa del mancato allineamento della Serbia alle sanzioni contro la Russia.

I rapporti tra Belgrado e Mosca creano forti perplessità in alcuni Stati membri: sono otto i Paesi contrari all’apertura dei nuovi capitoli, tra cui Germania, Olanda, Svezia, Paesi baltici e Croazia. Al contrario, nazioni come Italia, Francia e Austria si sono dichiarate favorevoli.

Oltre alla questione russa, i Paesi contrari sollevano regolarmente dubbi sui mancati progressi serbi in materia di Stato di diritto, nonostante il Cluster 3 riguardi essenzialmente temi economici e sociali. L'unico punto sensibile sul fronte delle libertà civili nel gruppo di norme in questione è la libertà dei media, che secondo i critici rimane tuttora limitata in Serbia.

L'ipotesi dell'allargamento "Big Bang"

La situazione è precipitata nelle ultime 48 ore. Solo la settimana scorsa, durante una cena informale a Bruxelles, Vučić aveva proposto ai vertici Ue un allargamento “Big Bang” per i Balcani occidentali. Per “Big Bang” si intende l’ingresso in blocco di tutti i Paesi candidati, replicando il modello del 2004 che vide l’adesione simultanea di un folto gruppo di Paesi ex comunisti.

L’idea fu concepita nel 2002 dal professor Dejan Jović, docente alla Facoltà di Scienze Politiche di Zagabria. L'obiettivo era evitare che i Paesi della regione — appena usciti da un decennio di conflitti — cadessero nel gioco dei veti incrociati per opportunismo politico. “Prevedevo che il Paese entrato per primo avrebbe utilizzato il diritto di veto per ostacolare l’ingresso altrui”, spiega Jović a Euronews.

Il docente ricorda quanto accaduto tra Slovenia e Croazia per la disputa sulle acque del Golfo di Pirano: Lubiana, già membro Ue, ostacolò a lungo il processo di Zagabria (entrata poi nel 2013). Più recenti sono i problemi della Macedonia del Nord, bloccata per anni dalla Grecia sulla questione del nome e oggi paralizzata dall'ostruzionismo bulgaro per controversie storiche e linguistiche.

Per Jović, l’adesione simultanea sarebbe vantaggiosa anche per l’Unione, poiché completerebbe la stabilizzazione del continente: “Ogni area geopolitica vicina all’Ue che non ne fa parte si presenta come un potenziale terreno di confronto tra l'Unione e altri attori globali”.

Il nodo dell'unanimità

Ma nei Balcani l’Ue ha scelto il principio dell’adesione individuale, decisione dettata dalle diverse eredità delle guerre degli anni novanta.

“Serbia e Croazia non hanno iniziato il cammino europeo dalle stesse posizioni”, osserva Jović. La Serbia ha dovuto fare i conti fin da subito con le sentenze del Tribunale dell’Aja per i crimini nell'ex-Jugoslavia e con l'irrisolta questione dell'indipendenza del Kosovo, un nodo che continua a zavorrare lo sviluppo politico del Paese.

Dal marzo 2022, i leader europei cercano di rilanciare l’allargamento per definire le frontiere della sicurezza continentale.

La prospettiva dell'adesione dell'Ucraina è vista da Bruxelles come una possibile contropartita per un accordo di pace, ma tale soluzione impone una ripresa vigorosa del processo verso i Balcani occidentali. Finora, Paesi come Bosnia, Kosovo e la stessa Serbia sono rimasti ai margini, frenati dalle crisi interne dell'Ue (debiti, migranti, pandemia) e dai propri conflitti irrisolti.

Secondo Jović, queste dinamiche potranno essere superate solo se l’Ue cambierà il proprio sistema decisionale, passando dal principio dell’unanimità alla maggioranza qualificata.

Ad oggi, infatti, basta il voto contrario di un solo Stato membro per bloccare l'intero processo di adesione di un candidato.

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