In Ucraina una guerra nella guerra: dal conflitto armato alla lotta al Covid

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Di Monica Pinna
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Nell’est ucraino la popolazione sta affrontando due guerre: il conflitto tra l’esercito di Kiev e separatisti filo-russi e da un anno la lotta al Covid-19.

Nell’est ucraino la popolazione sta affrontando due guerre: il conflitto tra l’esercito di Kiev e separatisti filo-russi e da un anno la lotta al Covid-19.

Divisi dal conflitto prima, dalla pandemia dopo

In aprile circa 150 mila soldati russi si sono ammassati al confine con l’Ucraina e in Crimea. Quelle che la Russia ha definito “esercitazioni militari” hanno lasciato i residenti delle zone di conflitto col timore di che un’escalation possa verificarsi ad ogni istante. Uno di loro, Ivan, riassume così i sentimenti diffusi fra la popolazione locale: “Qui siamo come a Chernobyl. Nessuno ha bisogno di noi”.

A Stanytsia Luhanska, nelle zone controllate dal governo ucraino, gli effetti della pademia sono evidenti. Questa cittadina ospita l’unico valico di frontiera pedonale sui quasi cinquecento chilometri della “linea di contatto”, tra i due fronti. Gli altri valichi sono quasi totalmente inagibili per la popolazione. Vengono aperti temporaneamente per missioni umanitarie.

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Stanytsia Luhanska, cittadina di frontieraeuronews

La libertà di movimento è ridotta al minimo. Le restrizioni imposte dal Covid si sono aggiunte a quelle del conflitto, come riassume Olehna Hrekova dell'Ong Right to Protection: “Prima del COVID fino a 15 mila persone al giorno attraversavano il valico di Stanytsia Luhanska. A volte anche 17 mila. Oggi si è scesi a meno di 2 mila in entrambe le direzioni”.

A Stanytsia Luhanska prima della pandemia i residenti dei due lati attraversavano il valico per recuperare la pensione, visitare i famigliari, gestire problemi legali. In molti si spostavano anche  quotidianamente per vendere qualche prodotto.

Oggi queste piccole attività sono state spazzate via. Su entrambi i fronti i residenti sono piú poveri e piú isolati. Una di loro spiega: “Non tutti riescono a pagare il test per il Covid necessario per passare il la frontiera. Per questo le persone non attraversano più, se non per urgenti necessità. Siamo venute da Odessa per andare a trovare la famiglia. Prima partivamo due volte all’anno. Ora è da un anno e mezzo che non andiamo”.

"Una popolazione nel panico"

Abbiamo raggiunto Peredilske, ad appena cinque chilometri dalla linea di contatto, per vedere che aspetto ha un altro fronte, quello della guerra contro il Covid. I centri medici sono il primo approdo per i residenti delle zone piú calde dell’est ucraino. Oksana è capo infermiera e dice di fare il lavoro di dieci persone: “Sono responsabile dei 1.200 residenti di due villaggi qui vicino. C’è una forte carenza di personale medico. Con la pandemia si sente ancora di più. I dottori hanno paura a fare visite a domicilio”.

Fronteggiare la terza ondata della pandemia è un lavoro ad alto rischio. In centri come questo non sono disponibili test per individuare il virus. La maggior parte del personale, come Oksana, è quindi stato contagiato.

“A causa del COVID e del conflitto, la gente è nel panico - racconta l'infermiera -. Nelle zone vicine alla linea di contatto ci sono stati molti contagi. I residenti non vogliono neanche andare dal medico. Hanno persino paura di andare al mercato”.

Un sistema sanitario al collasso

Il sistema sanitario ucraino, già fragilizzato dal conflitto, avrebbe bisogno del 40% in piú di personale sanitario secondo Médicos del Mundo. Per questa Ong, finanziata dall’Unione europea, non vengono soddisfatte le necessità più basilari, come dice Serhii Vinohradov, un membro dell'associazione: “A causa del conflitto, nel sistema sanitario locale mancano le sale di rianimazione per le malattie infettive. Le unità messe in piedi di recente non presentano i requisiti sanitari necessari”.

Anche gli ospedali specializzati, piú distanti dalla linea di contatto, hanno difficoltà a far fronte all’emergenza. Mancano fondi.

L’ospedale di Konstiantinivka ha aumentato la sua capacità , ma letti e personale non sono ancora sufficienti, lamenta la dottoressa Nadiia Scheichenko, primaria dell'ospedale: “Abbiamo 90-100 pazienti al momento e molti di loro sono in condizioni gravi. Chiedo sistematicamente al personale di lavorare più ore, ovviamente pagate, ma non basta. Sono tutti stanchi”.

La disponibilità di ossigeno è un altro grave problema nell’intera regione di Donetsk, prosegue la dottoressa: “Dovremmo avere 70-80 bombole al giorno, ma possiamo permettercene solo 45-50”.

Il numero dei casi sta globalmente diminuendo nelle regioni di Luhansk e Donetsk, direttamente interessate dal conflitto. Ma l’emergenza è ancora alta, spiega Scheichenko, “Se c’è una diminuzione in termini di contagi, c’è un aumento dei pazienti in gravi condizioni. Questo significa che le sale di rianimazione sono sempre piene e che l’epidemia non si sta fermando”.

L'isolamento nell'isolamento

In alcune aree, l’isolamento imposto dal conflitto ha giocato a favore del contenimento della pandemia. In parallelo, le difficili condizioni di vita hanno peró aumentato il rischio che si sviluppino dei cluster.

A Opytne, a meno di un chilometro dalla linea di contatto, i segni del conflitto sono ovunque. L’acqua e il gas e mancano da quasi sette anni. Il villaggio di Opytne è Covid-free. Qui nessuno entra o esce senza il permesso dell’esercito. I residenti dipendono interamente dall’ong People in Need per ricevere l’acqua, con il supporto dell’Europa.

Per i residenti sarebbe estremamente difficile far fronte al virus senza acqua, quindi senza poter osservare le minime norme igieniche, come spiega Olena, una di loro: “Considerando che gli abitanti qui sono quasi tutti oltre i sessant’anni, avremmo enormi problemi se dovesse comparire il COVID. Non abbiamo assistenza medica. I medici semplicemente non vengono”.

Gli anziani costituiscono il 30 per cento della popolazione colpita dal conflitto. Oltre mezzo milione di persone vive nelle aree direttamente coinvolte nel conflitto armato, fra continui scambi di colpi di arma da fuoco lungo la linea di contatto, mentre altri 2 milioni sono esposti a mine e residui bellici esplosivi.

L’isolamento non ha risparmiato molti altri villaggi lungo la linea di contatto. Dal 2020 oltre 12 mila persone sono state ricoverate nelle aree colpite dal conflitto. Ivan non si spiega come sia stato contagiato. A febbraio le sue condizioni hanno reso necessario il suo ricovero in un ospedale specializzato. Oggi sta meglio, ma è ancora in convalescenza. Per lui "Il Covid è come una seconda guerra. Fa paura. Sembra che tutto vada bene, poi una persona muore. Un attimo ci sei e l’attimo dopo è finita”.

Ivan e la moglie sono convinti che solo il vaccino possa salvare il loro villaggio. Ma, dice, “La vaccinazione qui sta prendendo tempo. Ieri è venuto il dottore, ha vaccinato una famiglia e se n’è andato”.

L’Ucraina riceverà otto milioni di dosi entro la fine dell’anno nell’ambito di Covax, l’iniziativa globale che ha l’obiettivo di rendere piú equa la distribuzione dei vaccini. Servirà a immunizzare il 20 per cento degli ucraini e ad alleviare almeno una delle minacce che incombono sul Paese.

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