Febbre del Nilo: così, lockdown e coronavirus potrebbero aver favorito i focolai

Una zanzara al microscopio
Una zanzara al microscopio Diritti d'autore Rick Bowmer/Copyright 2019 The Associated Press. All rights reserved.
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Di Marta Rodriguez MartinezAntonio Storto
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Mentre il focolaio nel lodigiano preoccupa sempre di più e cornacchie infette spuntano in diverse zone d'Italia, un ricercatore spagnolo ci spiega come il lockdown potrebbe aver agevolato il diffondersi del patogeno

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Sta facendo parecchia impressione, negli ultimi giorni, il moltiplicarsi delle infezioni da Febbre del Nilo occidentale. 

Gli ultimi due casi, secondo l'agenzia Ansa, sarebbero stati registrati oggi (28 agosto) nel Lodigiano, dov'è attivo il focolaio più consistente: i pazienti, di 69 e 79 anni, sono arrivati in ospedale in condizioni gravissime, con febbre molto alta, cefalea, dolori diffusi e riduzione della lucidità.  

Sale così ad una quindicina il numero delle persone ricoverate in ospedale nella zona, mentre altre infezioni (o sospette tali) sono state registrate nell'Alessandrino, nel Modenese e a Firenze. 

E non va affatto meglio nel resto d'Europa. A Siviglia, in Spagna, mentre una ventina di persone rimangono in ospedale, sette delle quali in terapia intensiva, un uomo di 77 anni e una donna di 85 sono morti nell'ultima settimana a causa di questa malattia trasmessa dalle zanzare, che sta colpendo anche in diverse regioni della Grecia. 

Cos'è e come si trasmette il West Nile virus

Appartenente alla famiglia dei flavivirus - famosi per la capacità di aggredire il sistema nervoso centrale, in particolare l’encefalo -  il virus del Nilo occidentale è una malattia che circola negli uccelli e nelle zanzare e produce sintomi in 1 persona infetta su 5, tra i quali febbre, vomito, diarrea, eruzione cutanea e dolori alla testa e al corpo. 

Nei casi più gravi, che si presentano in meno dell'1% delle persone infette (1 persona su 150), il virus comporta febbre alta, forti mal di testa, debolezza muscolare, disorientamento, tremori, disturbi alla vista, torpore e convulsioni, fino alla paralisi e al coma.

Il nome del virus deriva dal distretto di West Nile, in Uganda, dove l'agente patogeno fu isolato per la prima volta nel 1937.  A trasportarlo dall'Africa sono perlopiù uccelli migratori come gazze e cornacchie: pungendoli, le zanzare diventano vettori del patogeno, che viene quindi trasmesso agli esseri umani o ad altri animali, come cinghiali, cavalli o altri equini. 

"Il serbatoio naturale del virus, la specie in cui si riproduce meglio sono gli uccelli - ha detto a Euronews il ricercatore spagnolo Jordi Figuerola Borra della Stazione Biologica di Doñana - quindi perché la trasmissione avvenga, una zanzara deve pungere un uccello infetto".

"Negli esseri umani normalmente non succede nulla - continua Figuerola Borra - ma in una bassa percentuale di casi può verificarsi un'infezione grave".

Negli esseri umani, dopo la puntura il virus ha un periodo di incubazione che può variare tra i 2 e i 14 giorni, con picchi di tre settimane nel caso di soggetti immunodepressi, per i quali la malattia può riverlarsi mortale. 

Nei giorni scorsi, diverse cornacchie infette, sono state rinvenute in diverse aree della Sardegna e nell'Alessandrinio

Coronavirus e lockdown potrebbero aver favorito le nuove infezioni?

Il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie ha avvertito della nuova epidemia lo scorso 13 agosto, quando sono stati segnalate infezioni umane nell'Italia nordoccidentale, nel sud della Spagna e in diverse regioni della Grecia.

 L'Unione Europea aveva subito il peggior focolaio della malattia nel 2018, con un picco di casi in Italia, Romania, Grecia e Ungheria e un totale di 85 decessi..

Secondo Figuerola, due fattori potrebbero aver portato all'epidemia in Spagna ed altre zone d'europa: le piogge e il coronavirus.

"Questa primavera è stata molto piovosa, in particolare maggio ha piovuto l'80% in più rispetto alla media di questo periodo negli ultimi 11 anni", dice Figuerola. "E questo rende più facile l'accumulo di acqua ovunque ci sia un burrone: ed è lì che si riproducono le zanzare".

Figuerola spiega che il confinamento ha fatto sì che molte aree inondate siano rimaste così per molto più tempo del solito. E per avere un'idea delle conseguenze, secondo lo scienziato, basta pensare "che un semplice stagno d'acqua può essere trasformato in un incubatrice per le larve".

"Il confinamento ha bloccato le attività che impediscono alle zanzare di riprodursi - spiega Figuerola - con un minor numero di persone nelle campagne o nelle città in zone dove normalmente i ristagni e le inondazioni verrebbero bonificate".

"Finirà con il freddo"

Le cifre, per quanto riguarda la Spagna, confermano questa tesi: secondo l'Agenzia di stampa spagnola (EFE), quest'anno c'è stato un aumento del 30% del numero di zanzare nelle zone umide del Parco Nazionale di Doñana e del Guadalquivir.

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L'arrivo del freddo, secondo il ricercatore, metterà fine all'epidemia: ma nelle regioni più calde, il calo delle temperature potrebbe essere differito anche di un paio di mesi. 

Nel frattempo, Figuerola invita i consigli comunali e i privati ad evitare di creare un'habitat favorevole alla proliferazione delle zanzare.  "Le aree a rischio - spiega - sono acqua stagnante, piscine abbandonate o non clorate, ristagni  sotto i vasi di fiori, serbatoi d'aria condizionata, e gli scarichi se accumulano acqua sul fondo".

Nelle zone  a rischio, il ricercatore raccomanda inoltre di evitare di uscire presto o a fine giornata, di usare maniche lunghe, repellenti per le zanzare e di evitare di recarsi nelle zone attorno alle risaie.

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