A soli 24 anni, Ameer Alhabi ha vissuto e documentato alcuni dei capitoli più crudeli della guerra nel suo Paese d'origine, la Siria
"Mi sentivo diverso, non sono sicuro che sia sempre bello essere diversi: a volte va bene, ma in altri momenti è troppo perché vuoi essere come tutti gli altri".
Ameer Alhabi, a soli 24 anni, ha vissuto e documentato alcuni dei capitoli più crudeli della guerra nel suo Paese d'origine, la Siria.
"Un giornalista mi ha aiutato - racconta - mi ha dato una piccola macchina fotografica e ho iniziato: non c'erano scuole o università, non c'era niente, quindi ho guardato il lavoro di altri fotografi, e mesi dopo lavoravo per un'agenzia palestinese, poi ancora per un'agenzia italiana, ed in seguito per una francese".
Le foto di Ameer gli hanno offerto la possibilità di lasciarsi alle spalle la guerra: gli è stato così concesso asilo politico in Francia, dove continua a documentare la complessa relazione tra popolo e potere.
"La Francia è un Paese molto diverso dalla Siria: qui trovi la libertà, le persone possono sempre protestare.
Sono passati nove anni da quando ho visto l'inizio della rivoluzione siriana, ci sono cresciuto: ecco perché qui sono andato alle manifestazioni, ho deciso di coprire il movimento, di parlare alla gente".
Dopo aver documentato le proteste dei "Gilet gialli", Ameer sta ora lanciando un progetto per seguire il lavoro svolto dalle organizzazioni che combattono la disuguaglianza sociale e razziale nel Paese.
Però, non si autodefinisce un rifugiato.
"Negli anni in cui sono stato in grado di studiare, ho imparato il francese e l'inglese, ho iniziato a lavorare con la fotografia, che è qualcosa che amo: questo è quel che sono e ciò che faccio".