Israele, le elezioni di settembre che potrebbero segnare la fine dell'era Netanyahu

Israele, le elezioni di settembre che potrebbero segnare la fine dell'era Netanyahu
Diritti d'autore REUTERS/Gleb Garanich
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Di Marta Rodriguez MartinezSofia Sanchez Manzanaro
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Tutto quello che c'è da sapere sulla nuova tornata elettorale in Israele: quante sono le reali chances di rielezione per "Bibi"?

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In 13 anni al potere Benjamin Netanyahu, noto anche come “Bibi”, ha lasciato un segno indelebile nella storia di Israele. È il premier israeliano che vanta infatti il mandato più lungo, superando addirittura Ben Gurion, mentore dello Stato di Israele e suo primo leader.

Lola Bañón, giornalista specializzata in Medio Oriente e docente dell'Università di Valencia, lo descrive come una figura “carismatica e controversa”. I suoi sostenitori sostengono che abbia condotto il Paese verso il progresso, conquistando una posizione importante nello scacchiere geopolitico.

I detrattori, invece, affermano che l’inasprimento del conflitto con i palestinesi sia imputabile a lui, così come l'attacco alle minoranze arabe e all'opposizione. Non solo, pesanti sono le ombre di corruzione che gravano sulla sua immagine.

Ma la lunga permanenza di Bibi al potere potrebbe essere al capolinea. Dopo quasi cinque mesi di crisi politica, Israele torna alle urne per le elezioni il prossimo 17 settembre. Sono le seconde elezioni indette quest'anno, convocate a causa dell'impossibilità per Netanyahu di formare una coalizione che lo legittimasse.

"Questa è una situazione atipica in Israele, è la prima volta nella sua storia che si tengono due elezioni in un anno", spiega Bañón. Questo è uno degli spot elettorali di "Bibi", decisamente fuori dagli schemi.

Chi è Avigdor Lieberman?

Gli esperti concordano che la chiave del governo israeliano sia nelle mani di Avigdor Lieberman, l'attuale ministro della difesa e leader di Yisrael Beytenu, partito conservatore, laico e ultra-nazionalista. "Lieberman guiderà le dinamiche di coalizione e avrà un peso decisivo", spiega Bañón.

Secondo recenti sondaggi il Likud, il partito di Netanyahu, è ancora in testa e otterrebbe il 38-41% dei voti. 

Avigdor Lieberman - REUTERS/Ronen Zvulun

Potrebbe non bastare per superare la coalizione Kahol Laván (Blu e Bianco) - formata dai partiti Télem (a destra), Hosen L'Israel e Yesh Atid (centro) - e guidata da Binyamin Gantz, capo di stato maggiore nelle IDF tra il 2011 e il 2015.

A queste condizioni, i voti per il partito di Lieberman potrebbero risultare decisivi e consegnargli le chiavi della Knesset (il Parlamento di Israele).

Lieberman, ultranazionalista, conoscitore del russo, si presenta come baluardo laico di Israele contro la comunità ultraortodossa. Potrebbe dare il colpo di grazia al suo ex alleato, Bibi Netanyahu.

Il sistema elettorale israeliano permette a un partito di trasferire ad un altro i "voti in eccedenza", cioè cedere un numero di voti insufficienti per ottenere un seggio in più che potrebbero invece aiutare un altra formazione. In base a questo sistema, Lieberman ha già firmato un accordo di condivisione dei voti con la coalizione Kahol Lavan di Gantz.

Il Likud, minacciato dall'accordo, non ha tardato ad accusare: "Abbiamo svelato il trucco," come afferma in una dichiarazione il partito Netanyahu "Lieberman ha firmato un accordo per i voti in eccedenza con Lapid e Gantz, dopo aver dichiarato apertamente che li avrebbe sostenuti in caso dovessero essere eletti".

Lieberman risponde che si tratta di una "semplice questione tecnica" e che "non intende rischiare di perdere un posto nella Knesset". L'accordo però va in effetti verso un avvicinamento alla possibile coalizione con Kahol Lavan dopo le elezioni.

L'influenza della religione sulla vita politica

La religione pervade ogni aspetto della vita dello Stato di Israele e costituisce il fulcro del pensiero e delle azioni politiche di Benjamin Netanyahu. Uno dei motivi che hanno portato il primo ministro a bloccare la formazione del nuovo governo è stato l'impegno formale di Lieberman di approvare una riforma che costringa i giovani ultra-ortodossi a svolgere il servizio militare, come tutto il resto della popolazione.

REUTERS/Ronen Zvulun

"Non ho nulla contro la comunità ultra-ortodossa, e penso che dovrebbero essere integrati", ha detto Lieberman, aggiungendo: "Non si può avere un governo diretto da un solo gruppo.”

Gli ebrei ortodossi godono di molti privilegi nello stato di Israele. Ad esempio, gli uomini sono esonerati dal servizio militare - obbligatorio per 32 mesi e, nel caso delle donne, per 18 mesi.

Secondo Lola Bañón, il servizio militare è un periodo "vitale" per gli israeliani. "È lungo e sacrificato, non sempre facile da affrontare, presuppone un brusco trauma nella vita", dice.

Inoltre, gli ultra-ortodossi, con un alto tasso di natalità e famiglie numerose, rappresentano in Israele una comunità in rapida crescita.

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"E' una parte della popolazione che non produce e vive di assistenza sociale...sono una grossa spesa per lo Stato e pagano appena le tasse. Un gruppo sociale con privilegi esacerbati", spiega Lola Bañón.

Gli economisti sostengono addirittura che, se non controllati, potrebbero diventare un peso per l'economia di Israele oltre che una forza lavoro impreparata al mercato. Si tratta del 7% degli adulti del paese, ma i loro pronipoti costituiranno circa la metà di tutte le nascite in Israele nel corso delle prossime due generazioni.

In queste elezioni si è tornati a discutere di laicità dello Stato, e l'ingresso al governo di un leader come Avigdor Lieberman potrebbe segnare un nuovo passo verso la secolarizzazione.

Ma per Tal Schneider, giornalista del quotidiano Globes Business, questa prospettiva è ancora molto lontana. "Il piano di governo e il suo contenuto, anche per quanto riguarda l'agenda statale e la religione, sono ancora da discutere. Anche se Netanyahu non fosse in grado di formare un governo, altri partiti sono disposti a includere alleati ultra-ortodossi, e in questo modo l'obiettivo di un governo laico probabilmente non sarà raggiunto."

Corruzione: la spada di Damocle su Netanyahu

Per il giornalista di Haaretz, Gideon Levy, i principali motori della campagna contro Netanyahu non sono né il desiderio della società israeliana di una maggiore laicità, né la crescente influenza di Lieberman. Secondo lui, tutti gli attacchi contro il Likud ruotano intorno alla corruzione.

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Netanyahu torna alle urne con l'ombra delle accuse di corruzione, frode e violazione della fiducia.

In ottobre si troverà di fronte al procuratore generale di Israele che ha depositato la denuncia. Se verranno spiccate accuse formali, potrebbe essere costretto a ritirarsi indipendentemente dal risultato delle elezioni. Bibi, per parte sua, si definisce vittima di una "caccia alle streghe" orchestrata dai suoi rivali per metterlo alle corde.

La sua popolarità non sembra aver risentito di questi attacchi. "È riuscito a creare questa immagine di sé come uomo indispensabile, insostituibile", dice Levy.

Per il giornalista israeliano, la parte dominante che la corruzione ha nella campagna elettorale insabbia il vero problema politico del paese: il conflitto con la Palestina.

REUTERS/Mohamad Torokman

La Palestina, grande omissis nel discorso elettorale

"Né Gaza né l'occupazione influenzano le elezioni", lamenta Levy. "E' incredibile, la società vive nel negazionismo. Dell'occupazione non si parla, e di Gaza si discute solo se ci sono lanci (di razzi). Nessuno affronta le radici del problema: il blocco di Gaza".

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Le ultime elezioni ad aprile sono state caratterizzate dagli scontri tra Israele e Gaza. Levy dice che il conflitto diventerà un argomento elettorale solo se vi sarà una nuova escalation di tensione.

A differenza delle precedenti elezioni, i partiti arabi hanno deciso di presentarsi in un'unica lista comune, ma Omar Shaban (direttore del gabinetto strategico Palthink for Strategic Sudies di Gaza) non crede che questo migliorerà il tasso di partecipazione dei cittadini arabo-israeliani, apatici e arrabbiati con il sistema, né aiuterà la loro rappresentanza nella Knesset, che potrebbe assestarsi a meno dell'11%.

Il presidente degli Stati Uniti ha annunciato che presenterà il suo piano di pace dopo le elezioni in Israele. Netanyahu utilizza il suo buon rapporto con Trump come strumento elettorale, ma gli esperti non credono che la sua sconfitta possa segnare in modo determinante il sostegno statunitense a Tel Aviv.

È Donald Trump che ha spostato l'ambasciata americana a Gerusalemme, ma Levy ricorda che Barack Obama, "il presidente più liberale degli Stati Uniti", ha dato più soldi di qualsiasi altro presidente allo stato israeliano. Nel 2014, Obama ha inviato 225 milioni di dollari in aiuti per gli armamenti.

"Il rapporto di Israele con gli Stati Uniti è superiore ai leader", conclude la giornalista Bañón. "È uno dei più solidi nella politica mondiale, un rapporto strategico inscindibile".

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In un contesto in cui le sue prospettive di vittoria finale appaiano in declino, Netanyahu potrebbe stavolta rimanere senza argomenti validi per definirsi insostituibile.

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