Il doppio accordo fra Stato e Mafia confermato nel ‘Processo trattativa’

Il doppio accordo fra Stato e Mafia confermato nel ‘Processo trattativa’
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Di Simona Zecchi
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La sentenza di primo grado sancisce un patto a lungo negato. In attesa delle motivazioni, cinque anni di polemiche indagini e udienze fitte.

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Il processo sulla trattativa Stato-Mafia, quello che vede coinvolti parti dello Stato, vertici delle forze dell’ordine, politici e criminalità organizzata (nella fattispecie Cosa Nostra) comincia davanti alla corte d'assise di Palermo presieduta da Alfredo Montalto, il 27 maggio del 2013 dopo una inchiesta giudiziaria durata molto tempo. Ma è un fantasma che aleggia sul paese da 20 anni.

Un processo e una inchiesta ai quali almeno nel primo grado, sancito il 20 aprile 2018, puo’ essere sottratto l’aggettivo “presunta/presunto”. Aggettivo che da anni compare insieme al nome “trattativa” per deontologia, per delicatezza o per debolezza sulla stampa e pronunciato dai TG. Una presenza mediatica che negli ultimi tempi, nonostante le intense udienze tenutesi a Palermo, ormai latitava, a eccezione che per pochi articoli e testate. Dodici anni sono stati comminati agli ex vertici del Ros Mario Mori (sempre assolto prima di questa sentenza nei processi a cui fino a poco tempo fa era stato sottoposto) e Antonio Subranni per minaccia a corpo politico dello Stato. Dodici anni, per lo stesso reato, sono stati anche comminati all'ex senatore di Forza Italia Marcello Dell'Utri; sono invece 28 gli anni sempre per minaccia a corpo politico dello Stato riconosciuti per il capo mafia Leoluca Bagarella. Per lo stesso reato poi dovrà scontare 12 anni il bosso Antonino Cinà. L’altro ex ufficiale del Ros Giuseppe De Donno, per le stesse imputazioni, ha avuto 8 anni. Massimo Ciancimino, il figlio dell’ex sindaco di Palermo Vito, accusato in concorso in associazione mafiosa e calunnia dell'ex capo della polizia De Gennaro, ha avuto anche lui 8 anni.

Subito sin dal 2013 era entrato nel processo anche il boss Bernardo Provenzano (deceduto a dieci anni esatti dall’arresto avvenuto nel 2006, dopo una latitanza lunga quasi mezzo secolo), la cui posizione venne poi stralciata perche’ giudicato incapace di partecipare lucidamente alle udienze e poi deceduto. Una storia quella degli ultimi anni di vita del boss, regista della trattativa secondo i magistrati della procura palermitana al tempo, che merita un paragrafo a se’. La vicenda dell’ex boss Provenzano è infatti caratterizzata da periodi bui, in cui minacce e percosse ricevute al 41 bis l’avrebbero fatto desistere dalla volontà di collaborare con la magistratura. L’allora procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso rivelo’ prima un tentativo di resa del boss, che un sedicente intermediario avrebbe proposto allo stesso Grasso, pochi mesi prima l’arresto ufficiale. Successivamente Provenzano prova, anche se in modo criptico, a parlare con Sonia Alfano e Antonio Ingroia, ma qui inizia l’agonia: uno strano tentativo di suicidio, altrettanto strane cadute dal letto, e tante botte, che il boss racconta di ricevere in carcere mentre è a colloquio con il figlio. La trasmissione Servizio Pubblico nel maggio 2013 ne manderà in onda gli estratti piu’ evidenti. 

Tra tutti gli imputati del processo trattativa, l'ex ministro Nicola Mancino, accusato di falsa testimonianza, viene assolto con formula piena. Mentre Calogero Mannino, ex ministro Dc, con gli altri rinviato a giudizio, sceglie l'abbreviato. Il processo a suo carico va piu' spedito a novembre del 2015 viene assolto. L'appello e' in corso.

Agli anni in questione 1992 – 1993, tuttavia sono legate anche le inchieste della procura reggina con una espressione evocativa ma efficace “ndrangheta stragista”. Un filo che lega insieme anche altre inchieste giudiziarie della battagliera procura calabrese come l’inchiesta “Mammasantissima” in cui spuntano rivelazioni (in corso di verifica e indagini dalla Procura di Roma) che riguardano anche il caso Moro, il cui quarantennale dal sequestro e l’omicidio ricorre quest’anno.

Il pm Antonio Ingroia lascia la toga e la inchiesta dopo un infelice tentativo di discesa in politica e finisce sotto indagine per peculato. A istruire il dibattimento restano Nino Di Matteo, ormai simbolo del pool, Roberto Tartaglia, Vittorio Teresi e Francesco Del Bene.

“Quattro anni e 8 mesi di dibattimento, circa 220 udienze, centinaia di esami testimoniali, audizioni di politici eccellenti tra cui l'ex capo dello Stato Giorgio Napolitano, dichiarazioni spontanee, schermaglie tra le parti, rivelazioni di piani di attentati e minacce ai danni di Di Matteo: la vita di quello che e' stato definito il processo del secolo e' lunga, complessa e densa di polemiche”, ricorda l’Ansa.

La Procura completa infine la requisitoria a gennaio e chiede le pene. Nel frattempo muore un altro imputato eccellente: Toto' Riina.

Ma il processo sulla trattativa stato mafia ha un’altra genesi, quella della inchiesta cosiddetta dei “Sistemi Criminali” che riguarda un presunto golpe che avrebbe visto protagonisti negli anni '90, in un tentativo di destabilizzazione del Paese, Cosa nostra, massoneria deviata, pezzi di Stato ed eversione nera (un filone sull’eversione nera e P2 è in effetti entrato anche in questo processo trattativa caduto poi nel dimenticatoio e riferito in modo specifico proprio al Generale Mario Mori). Fu Roberto Scarpinato ad aprire per primo l’inchiesta Sistemi Criminali, che pero’ dovette archiviare. Il fascicolo torno' di nuovo in auge con un’ipotesi di reato. Per la prima volta i pm ipotizzarono infatti proprio la violenza o minaccia a Corpo politico dello Stato, reato che poi  andrà a caratterizzare questa sentenza di primo grado sulla trattativa. Una inchiesta che si lega a quelle reggine già citate. Il doppio patto sembra percorrere diversi eventi tragici di questa Repubblica, tutti in qualche modo correlati tra loro. Intanto questa sentenza, ancora parziale e tutta da giocare nei gradi a venire, sancisce un periodo storico di sangue e accordi che già trascina con se' un mare di polemiche.

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