Cosa ho visto nelle 48 ore trascorse in un centro detenzione per migranti in Francia

Cosa ho visto nelle 48 ore trascorse in un centro detenzione per migranti in Francia
Diritti d'autore  REUTERS/MARK BLINCH
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Di Rafael Cereceda
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M.M.G. ha trascorso due giorni in un centro di detenzione francese. Il suo resoconto fornisce un raro spaccato su come funzionano i centri di detenzione della UE e su come l'Europa stia afrontando il problema dell'immigrazione clandestina

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M.M.G. è un trentenne cileno di origine croata. È venuto in Europa con alcuni amici con un visto turistico per viaggiare e suonare un po' di musica. Ma una volta scaduto il visto ha deciso di rimanere un po' più a lungo a Lione, in Francia, dove viveva un suo parente. 

Il suo desiderio di rimanere per altri 9 mesi è stata un po' una "pazzia giovanile". M.M.G. voleva continuare a viaggiare e fare musica in Europa ma non ha pensato davvero alle conseguenze legali del suo gesto. 

Mentre cercava di attraversare il confine tra Francia e Spagna in autobus è stato arrestato dalla polizia francese.

M.M.G. ha raccontato la sua esperienza a euronews, sottolineando di non essere un "migrante economico" e affermando che la sua famiglia avrebbe potuto pagargli un volo di ritorno. L'intervista a Marcos ha avuto luogo mentre era in attesa di essere deportato in Cile. Il processo di espulsione ha richiesto un totale di quattro mesi, inclusi i ritardi causati dalla perdita del suo fascicolo da parte della polizia. 

Il suo resoconto fornisce raro spaccato sull'universo dei centri di detenzione dell'UE lavorano e su come l'Europa stia affrontando il problema dell'immigrazione clandestina.

Di seguito sono riportati alcuni estratti dell'intervista.

Ho deciso di andare in Spagna perché avevo un amico, anch'egli musicista, e volevo cambiare rispetto a Lione anche perché vivere come immigrato illegale qui in Francia non è facile. Ho preso un autobus perché pensavo che sarebbe stato più sicuro, ma mi sono sicuramente sbagliato. Avrei dovuto usare un  programma di car sharing. 

Quando la polizia di frontiera ha fermato l'autobus vicino al confine spagnolo, sapevo che sarei stato in difficoltà. Avevo qualche speranza in quanto lasciavo la Francia e non vi avrei più fatto ritorno. 

Ho avuto la sensazione che la polizia mi abbia mentito fin dall'inizio. Mi hanno detto: "Non preoccuparti, è solo un problema amministrativo, ci vorranno un paio d'ore e poi potrai partire". Mi hanno parlato in spagnolo con un forte accento francese.

Pensavo che mi avrebbero dato un foglio di espulsione, non di finire in un centro di detenzione, che alla fine è come essere arrestato. L'amica che viaggiava con me ha chiesto di rimanere ma è stata costretta a rientrare in autobus. 

"La polizia è stata ingannevole"

Quando sono arrivato alla stazione di polizia non sapevo dov'ero finito. La polizia non mi ha parlato. Ho avuto modo di parlare telefonicamente con un traduttore. Mi ha detto di rimanere calmo e che non sarei stato trattato come un criminale in quanto non lo ero.

Mi ha detto che avevo il diritto di chiamare un medico e un avvocato, ma mi ha consigliato di non farlo perché avrebbe ritardato tutto il processo. Ero spaventato ma si trattava della prima persona di lingua spagnola con cui ho potuto parlare quindi mi sono fidato e non ho chiesto un avvocato.  

Penso che il traduttore mi abbia ingannato. 

Nella zona d'attesa della stazione di polizia mi hanno sempre detto che si trattava solo di un problema amministrativo. Ma mi hanno ignorato quando ho chiesto un carica batterie per il telefono in quanto avevo dimenticato il mio sull'autobus e il mio cellulare non aveva più batteria. 

Poi c'è stato un cambio turno e i nuovi poliziotti mi hanno messo dentro una cella, come un criminale, anche se mi era stato detto che non sarebbe accaduto.

Infine, sono stato convocato nell'ufficio del capo della polizia con l'interprete, il quale mi ha ripetuto che in poche ore avrei potuto andare via. Al massimo la mattina seguente. Ti daranno un documento di espulsione, forse ti ritireranno il passaporto ma tutto andrà bene". 

"Non ha mai menzionato il fatto che sarei finito in un centro di detenzione" 

Il capo della polizia mi ha interrogato con l'ausilio dell'interprete. Poi mi hanno dato la mia dichiarazione, che non riuscivo a leggere in quanto non parlo molto francese. L'interprete mi ha detto ancora una volta che si trattava solo di pratiche burocratiche e che avrei dovuto firmare.

Ho cercato di insistere per ottenere la traduzione del documento, ma mi hanno fatto molta pressione per firmare anche se non riuscivo a leggerlo. Ero scioccato, quasi in lacrime. Mi sono fidato dell'interprete, che continuava a dire che sarei stato rilasciato molto rapidamente.

Più tardi ho appreso che la dichiarazione diceva che che avevo "formalmente rifiutato" un avvocato e che avevo "formalmente rifiutato" di fare una chiamata. Un'opzione che nessuno mi ha mai dato. Penso che mi abbiano negato quel diritto alla chiamata. 

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Poi mi hanno rimandato in cella. Ho chiesto ancora una volta di utilizzare il mio cellulare ma me lo hanno portato via, insieme a tutti i miei effetti personali o qualsiasi cosa che avrei potuto usare per farmi del male. Come un criminale. 

Ho detto loro che ero claustrofobico. Un poliziotto mi ha promesso che avrei potuto lasciare la cella per una breve passeggiata se mi fossi sentito in ansia, ma c'è stato un cambio turno e i nuovi agenti non mi hanno fatto mai uscire. 

Ho dormito in un "letto" di cemento. Mi hanno dato il cibo, come su un aereo, acqua e una coperta. C'è stato un nuovo cambio di turno e ne ho approfittato per chiedere nuovamente da mangiare in quanto le porzioni erano molto piccole! 

"È come un hotel, ma senza uscita"

La mattina dopo, non so esattamente a che ora (ero disorientato), due poliziotti mi hanno detto che non  sarei partito ma sarei dovuto andare in un un centro di detenzione per immigrati. (C.R.A in francese).

Mi ha sorpreso un poliziotto di lingua spagnola che mi ha detto che era "come un albergo, ma senza possibilità di uscita". Volevano trasportarmi in un'auto con le "gabbie", ma mi sono rifiutato in quanto la situazione poteva essere abbastanza claustrofobica.

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Quando sono arrivato al centro, alla periferia di Perpignan, mi hanno portato via di nuovo tutti gli effetti personali e mi hanno fatto firmare ancora delle carte che non capivo. 

Più tardi ho appreso che avevo firmato il modulo delle autorità francesi che chiedeva di essere messo in un centro di detenzione, deportato e che mi impediva il ritorno in Francia per tre anni. Mi hanno detto che avrei lasciato il paese in 45 giorni, durante i quali avrei dovuto firmare alla stazione di polizia ogni giorno.

Dei detenuti sono venuti a parlare con me. Un marocchino che parlava spagnolo mi ha illustrato le regole del centro, mi ha spiegato come fare telefonate e ho imparato che potevo comprare del tabacco (circa 1 € in più rispetto a fuori dal centro).

Erano passate circa 15 ore da quando sono stato prelevato dall'autobus e non avevo ancora fatto una telefonata. Non ho potuto neanche fumare. E' stato difficile.

Nel centro ho potuto finalmente comprare qualche sigaretta e una carta per fare alcune telefonate. Il problema era che mi avevano portato via il cellulare in quanto dotato di macchina fotografica. Lì c'erano i miei contatti e la mia carta SIM. Quasi per miracolo, mi sono ricordato il numero di telefono di un amico francese.

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Si è trattata della prima voce amichevole sentita in 20 ore: per la prima volta dopo quasi un giorno ho potuto raccontare a qualcuno dov'ero e cosa mi stava succedendo. 

Al centro di detenzione le camere erano doppie, con un cortile e un televisore per tutti i detenuti. C'erano anche distributori automatici. Le docce erano in comune ma gli ospiti avevano messo delle coperte per cercare di dare un po' di privacy in quanto non tutti volevano lavarsi davanti agli altri.  

Non c'è quasi nessun contatto con il personale del centro. Nessuno mi ha detto che c'era un ufficio della ONG Forum Refugees nel centro. Solamente i detenuti mi hanno detto che avrei potuto rivolgermi a loro. Sono stati molto utili, mi hanno spiegato che le opzioni che avevo erano: essere espulso, ma potevo aspettare il provvedimento all'interno del centro (per un massimo di 45 giorni) o potevo essere rilasciato e aspettare la deportazione a determinate condizioni.

Il mio amico francese ha iniziato la pratica per aiutarmi a ottenere il rilascio (essenzialmente, le autorità chiedono ad un residente legale, con mezzi economici sufficienti, di farsi carico di una persona "illegale" sul territorio). 

All'interno del centro, la cosa più toccante è stata la solidarietà tra i migranti. Come si aiutano l'un l'altro, come gridano il nome di una persona quando c'è una telefonata, come si scambiano cibo, sigarette... sono gesti semplici ma diventano importanti in una situazione del genere.

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C'è stato anche un fenomeno di "simpatia istantanea", anche se il mio è stato un soggiorno molto breve. Si instaura rapidamente un rapporto di fiducia tra i detenuti, una sorta di fratellanza. Nel mio caso, soprattutto con coloro che parlavano spagnolo, marocchino e peruviano. Ma non solo. Il mio migliore amico era un senegalese e lui non parlava spagnolo, ma in qualche modo abbiamo stabilito un rapporto molto interessante.

Ero l'unico "bianco" visto nelle mie 48 ore di permanenza lì. Il resto erano africani, marocchini e algerini, un peruviano ed io.

Il peruviano, un buon conoscitore dei centri di detenzione d'Europa, mi ha detto che i migliori si trovano nei Paesi Bassi, con un televisore in ogni camera (singola) e un ristorante self-service.

"Rilasciato perché avevo i mezzi"

Poi è venuto il momento del processo. Il mio amico era venuto da Lione ma il personale della ONG aveva commesso un errore con la data quindi si è dovuto attendere ancora un giorno.

Sono andato insieme ad un marocchino e due senegalesi, tutti noi abbiamo chiesto un rilascio condizionale. Ma ero l' unico con il 100% dei documenti in regola. Inoltre, il fatto che il mio amico potesse fisicamente venire al processo ha avuto un ruolo.

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Sin dall'inizio, il procuratore mi ha rassicurato, dicendo che non avrebbe fatto molta resistenza nel mio caso. Era molto più duro con gli altri imputati.

E non posso fare a meno di pensare che sono stato rilasciato perché il mio entourage ha avuto i mezzi per mettere insieme tutti i documenti e venire al processo, il viaggio è stato piuttosto costoso. Per gli altri imputati, ho la sensazione che il processo fosse perso ancor prima che iniziasse. 

Dopo quasi tre mesi ho chiesto alle autorità francesi come stava procedendo il mio caso. Dopo qualche giorno mi hanno detto che la procedura di espulsione era ancora in corso ma che il mio dossier era andato perduto. Mi hanno detto che se non lo avessi ricordato loro, non avrebbero notato - e avrei potuto rimanere in Francia.

Articolo aggiornato il 9/1 con alcune correzioni su richiesta dell'intervistato, che ha preferito utilizzare le iniziali invece che il nome completo.

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