Cinque anni fa partiva dalla Tunisia lo sciame sismico di quella che poi verrà battezzata “primavera araba”: partiva tutto da un anonimo venditore di
Cinque anni fa partiva dalla Tunisia lo sciame sismico di quella che poi verrà battezzata “primavera araba”: partiva tutto da un anonimo venditore di frutta e verdura, che si era dato fuoco perché non ne poteva più delle quotidiane vessazioni della corrotta polizia di Ben Alì, il presidente-dittatore che oggi vive un esilio dorato in Arabia Saudita. Come tappi di bottiglie di champagne, saltavano uno dopo l’altro i regimi della regione, dando l’illusione della grande festa democratica.
Solo in Tunisia, però, si ha oggi un regime democratico e stabile.
“Alcune statistiche dicono che il 73% dei Tunisini è ottimista, perché vedono un miglioramento della sicurezza e la più importante conquista che si è fatta dalla rivoluzione è la libertà”, ha detto il presidente Essebsi celebrando l’anniversario.
Migliaia di persone sono scese in strada nella stessa via Bourghiba da cui partì la protesta di massa. Una manifestazione che è stata anche una protesta, ora non più contro un regime, ma contro gli aspetti del sistema che ancora restano da correggere.
“La cosa che ritengo essenziale per la Turchia è la giustizia, e soprattutto che ci sia meno impunità perché, che lo si voglia o no, oggi il problema non è più la corruzione o gli abusi del potere. Il vero problema oggi è quello dell’impunità”.
L’entusiasmo per gli obiettivi raggiunti è simboleggiato dal quartetto di sindacati e associazioni che hanno ricevuto lo scorso anno il Premio Nobel per la pace. La delusione è espressa da uno striscione inalberato dai manifestanti: “lavoro, libertà e dignità”. Il corteo si è svolto in presenza di imponenti misure di sicurezza, dovute allo stato di emergenza per il terrorismo.