Condannati a morte in Indonesia. Le speranze appese a un filo

Condannati a morte in Indonesia. Le speranze appese a un filo
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Di Diego Giuliani
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Un ricorso amministrativo l'ultima spiaggia per i due australiani. Il cittadino francese implicato attende a momenti l'esito dell'ultimo appello

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Una visita in barca al carcere dove attendono di essere giustiziati e un accorato appello alla telecamere sono l’ultima e disperata carta giocata dai familiari dei due australiani condannati a morte in Indonesia per traffico di droga.

Le sempre più flebili speranze di salvar loro la vita riposano in un ricorso amministrativo contro il rifiuto della grazia presidenziale.

“Le nostre famiglie continuano a sperare che il Presidente Jodo Widodo si ravveda e si renda conto di quanto Myuran e Andrew hanno fatto in prigione per aiutare gli indonesiani – dice Chinthu Sukumaran, fratello di uno dei due condannati a morte australiani -. Chiediamo soltanto che venga loro concesso di trascorrere il resto della loro vita in prigione, invece di essere giustiziati”.

Le tensioni diplomatiche fra Canberra e Giakarta alimentate dal caso hanno vissuto un’ulteriore impennata nelle ultime ore con il Ministro della sicurezza indonesiano, che alle pressioni del primo ministro Tony Abbott ha replicato, minacciando di generare uno “tsunami umanitario”, invadendo l’Australia con un’ondata di 10.000 richiedenti asilo.

Dopo il recente intervento dell’Alto Commissariato Onu per i diritti umani, agli appelli di clemenza a Giakarta si è unito anche il fondatore della Virgin, Richard Branson, che da membro della Global Commission on Drug Policy ha bollato la condanna a morte come una forma barbara e inumana di punizione e invitato a considerare la droga come un problema sanitario, piuttosto che penale: “E’ soltanto così – ha detto Branson – che si riduce il numero delle morti, si limitano i contagi di malattie come l’AIDS e si facilita la reintegrazione in società dei tossicodipendenti”.

Alla mobilitazione della comunità internazionale per salvare la vita agli 11 condannati a morte hanno fatto di recente da contraltare in Indonesia anche delle manifestazioni in favore della pena capitale, di cui è uno strenuo partigiano il presidente Jodo Widodo.

Insieme ai due australiani, condannati nel 2006 con l’accusa di dirigere un traffico di droga verso l’Indonesia, rischiano un’imminente esecuzione altre nove persone, tra cui cittadini di Brasile, Filippine, Nigeria; Ghana e Francia.

Quest’ultimo, un 51enne condannato nel 2007 dopo esser stato trovato in un laboratorio clandestino che produceva ecstasy, è stato condotto ieri nel nord dell’Indonesia per assistere all’ultimo processo che potrebbe evitargli la condanna a morte.

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