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Matrimoni gay, svolta Ue: tutti gli Stati devono riconoscerli, anche se vietati a livello nazionale

FILE: Un uomo cammina davanti alla Corte di giustizia europea a Lussemburgo, 5 ottobre 2015
FILE: Un uomo cammina davanti alla Corte di giustizia europea a Lussemburgo, 5 ottobre 2015 Diritti d'autore  AP Photo
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Di Euronews
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La Corte di giustizia Ue stabilisce che ogni Stato membro deve riconoscere i matrimoni omosessuali contratti in un altro Paese dell’Unione, anche se la legislazione nazionale non li prevede. La decisione nasce dal caso di una coppia polacca sposata a Berlino

La Corte di giustizia dell’Unione europea ha emesso una sentenza destinata a cambiare il quadro dei diritti Lgbtq+ nel continente: tutti gli Stati membri devono riconoscere i matrimoni tra persone dello stesso sesso validamente contratti in un altro Paese dell’Ue, anche quando la loro legislazione nazionale non li contempla.

Secondo i giudici di Lussemburgo, negare il riconoscimento di un matrimonio legalmente formato in un altro Stato europeo viola la libertà di circolazione dei cittadini Ue e il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Un mancato riconoscimento, si legge nella sentenza, può generare “gravi inconvenienti amministrativi, professionali e privati, costringendo i coniugi a vivere come persone non sposate”.

Il caso: due cittadini polacchi sposati a Berlino

La decisione nasce dal ricorso di una coppia polacca che si era sposata a Berlino nel 2018. Tornati in Polonia, i due avevano chiesto la trascrizione del certificato di matrimonio tedesco nei registri civili polacchi, per vedersi riconosciuto lo status coniugale.

Ma la Polonia aveva rifiutato: il Paese, infatti, non ammette né il matrimonio egualitario né le unioni civili tra persone dello stesso sesso.

La coppia ha quindi impugnato il rifiuto davanti alla Corte amministrativa suprema polacca, che ha deferito il caso alla Corte di giustizia europea.

La risposta dei giudici Ue è stata netta: il matrimonio è valido in tutto il territorio dell’Unione.

“La vita familiare deve proseguire anche al ritorno nel Paese d’origine”

La Corte ha ricordato che i cittadini europei hanno diritto a spostarsi liberamente e a costruire una vita familiare in qualsiasi Paese dell’Unione. Questo diritto non può svanire nel momento in cui si rientra nel proprio Stato d’origine.

“Quando creano una vita familiare in uno Stato membro ospitante, devono avere la certezza di poterla proseguire al ritorno nel proprio Paese”.

Importante precisazione: la sentenza non impone agli Stati di legalizzare il matrimonio gay, ma obbliga ogni Paese a riconoscere quelli registrati altrove, senza discriminazioni né ostacoli procedurali.

Matrimonio egualitario in Europa: un’Unione a due velocità

Attualmente, più della metà dei Paesi Ue riconosce il matrimonio tra persone dello stesso sesso. I Paesi Bassi sono stati i primi al mondo a farlo nel 2001.

Altri Stati prevedono unioni civili ma non il matrimonio. La Polonia, però, è fra i pochi che non riconoscono nessuna forma di unione per le coppie Lgbtq+.

Il premier Donald Tusk ha promesso riforme per ampliare i diritti della comunità, ma il Paese resta profondamente diviso sul tema.

Una sentenza che farà giurisprudenza

La decisione della Corte di giustizia Ue stabilisce un principio chiaro: la mobilità e i diritti delle famiglie omosessuali devono essere tutelati in modo uniforme in tutta l’Unione.

Un passo che, pur non cambiando le leggi interne degli Stati più conservatori, impone un riconoscimento giuridico minimo e inevitabile, con possibili effetti futuri anche sulle legislazioni nazionali.

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