Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca sfideranno l'Ue sulle quote di immigrazione. Non vogliono né accogliere richiedenti asilo né pagare le compensazioni previste dalla legge. Un compromesso è al momento difficile da raggiungere
Diversi governi dell'Europa dell'Est sono pronti a sfidare l'Unione europea sul piano di ridistribuzione dei richiedenti asilo.
Martedì scorso, la Commissione europea ha svelato il piano di distribuzione per il 2026, che trasferirà una parte dei richiedenti asilo dai Paesi considerati "sotto pressione migratoria": Italia, Spagna, Grecia e Cipro.
Secondo il Patto sulla migrazione e l'asilo, tutti i Paesi dell'Ue devono contribuire, in proporzione alla loro popolazione e al Pil totale, ad alleviare l'onere dei Paesi considerati "sotto pressione migratoria".
Possono farlo in tre modi diversi: ricollocando un certo numero di richiedenti asilo sul proprio territorio, pagando 20mila euro per ogni persona che non accettano di ricollocare o finanziando il sostegno operativo negli Stati membri considerati "sotto pressione", come l'Italia e la Spagna. Le regole prevedono anche la possibilità di combinare le tre opzioni.
L'importo totale e la quota di ricollocamenti saranno decisi entro l'anno dagli Stati membri. I 27 dovranno definire un "solidarity pool", sulla base di una proposta della Commissione che non sarà resa pubblica fino alla sua approvazione deifnitiva. 30mila ricollocamenti e 600 milioni di euro di contributi finanziari in totale sono il minimo stabilito dalla legge.
L'opposizione al sistema di quote migratorie
Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca non sembrano disposte a partecipare al sistema di quote, né accettando i ricollocamenti né fornendo un contributo finanziario.
"La Polonia non accetterà migranti nell'ambito del Patto per la migrazione. E non pagheremo per questo", ha scritto su X il primo ministro polacco Donald Tusk poco dopo la presentazione del rapporto della Commissione. Nel Paese è forte la pressione su Tusk per l'adozione di una linea dura sulla migrazione, fortemente perseguita dall'opposizione conservatrice nazionalista del partito Diritto e Giustizia.
Anche il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha adottato una linea dura: "Non attueremo il patto sulla migrazione. Non accoglieremo i migranti e non pagheremo un solo fiorino per loro", ha dichiarato il giorno successivo all'annuncio della Commissione.
In Ungheria si terranno ad aprile le elezioni legislative: Orbán intende fare dell'immigrazione un tema centrale e utilizzare la la sua linea dura come argomento chiave della campagna elettorale.
All'inizio di quest'anno, il primo ministro slovacco Robert Fico ha inviato un avvertimento simile a Bruxelles, sostenendo che il suo Paese non avrebbe partecipato al programma di ridistribuzione e non avrebbe nemmeno pagato le compensazioni previste. Anche Fico ha adottato una linea dura sull'immigrazione ed è allineato con il motto di Orbán "zero migranti".
Il prossimo primo ministro ceco Andrej Babiš deve ancora formare il suo governo, ma ha già espresso il suo rifiuto al sistema delle quote, adducendo "motivi di sicurezza nazionale".
"Il nostro partito non è d'accordo con il Patto migrazioni e asilo, che rappresenta una minaccia diretta alla nostra sicurezza. Lo respingiamo", ha dichiarato a Euronews l'eurodeputato del partito ANO Jaroslav Bžoch.
I Paesi dell'Ue possono rifiutare un sistema di quote migratorie?
In teoria, tutti gli Stati membri dell'Ue dovrebbero partecipare al programma e offrire solidarietà - finanziaria o operativa - agli Stati membri considerati sotto pressione.
Tuttavia, per alcuni di loro è possibile ottenere delle esenzioni.
Secondo la valutazione della Commissione, Repubblica Ceca e Polonia sono tra i sei Paesi che potrebbero richiedere un'esenzione dal solidarity pool, in quanto sono classificati come Stati che "affrontano una situazione migratoria significativa".
Si prevede che la Polonia la chieda immediatamente e che la Repubblica Ceca segua l'esempio a breve, secondo fonti europee.
Ogni deroga deve essere approvata dai ministri dell'Ue a maggioranza qualificata. Ciò significa che 15 dei 27 Stati membri, che rappresentIno almeno il 65% della popolazione totale dell'Ue, devono essere a favore.
Se un'esenzione viene concessa a un Paese dell'Ue, la sua quota di ricollocamenti e di contributi finanziari non viene riassegnata ad altri Stati, il che significa che i Paesi "sotto pressione migratoria" riceveranno meno aiuti nel pacchetto complessivo.
Anche per questo definizione del "solidarity pool" e l'approvazione delle esenzioni è una questione estremamente delicata. I funzionari europei ammettono che sarà difficile concedere un'esenzione a un Paese e negarla a un altro.
"L'attuazione del patto migratorio sarà molto difficile, la maggior parte degli Stati membri preferirebbe evitare i ricollocamenti a causa del contraccolpo politico che potrebbero subire i governi", ha dichiarato un diplomatico a Euronews.
Paesi come l'Ungheria e la Slovacchia, che in linea di principio non avrebbero diritto a chiedere un'esenzione in quanto non sono considerati a "forte pressione" migratoria, potrebbero ignorare i criteri stabiliti e provare comunque a non applicare la legge.
"È chiaro che se la maggioranza degli Stati membri rifiuta la propria quota di trasferimenti, la Commissione non li multerà tutti. Questa legge sarà molto difficile da attuare sul campo", ha detto il diplomatico.
Inizialmente la Commissione non aveva rispettato la scadenza del 15 ottobre per presentare la proposta del solidarity pool, evidenziando l'estrema delicatezza del tema a livello politico..
Con poco tempo a disposizione prima della fine dell'anno, la questione sarà probabilmente discussa dai 27 leader dei Paesi dell'Ue durante l'ultimo Consiglio europeo dell'anno, previsto per il 18-19 dicembre.