Francia e Germania convergono sulla necessità di rafforzare la difesa europea, ma visioni strategiche diverse e squilibri fiscali frenano il progetto. Il rischio? Un’altra occasione storica sprecata
La guerra in Ucraina, la crescente incertezza sull’impegno Usa nella sicurezza europea e un contesto geopolitico in rapido mutamento hanno spinto Francia e Germania a un riavvicinamento in ambito militare come non si vedeva da decenni. Eppure, il tanto evocato “motore franco-tedesco” sembra arrancare proprio quando l’Unione europea avrebbe più bisogno di una visione unitaria sulla difesa.
"Il grado di convergenza è probabilmente più alto di quanto non sia stato per decenni", ha spiegato Jacob F. Kirkegaard, senior fellow del think tank Bruegel, sottolineando come entrambi i Paesi vedano nella Russia la principale minaccia a lungo termine.
La Germania ha battezzato questo nuovo corso "Zeitenwende", mentre Parigi parla della sua nuova legge di programmazione militare come di una “mossa strategica definitiva”. Eppure, dietro le dichiarazioni di intenti, le differenze restano profonde.
Fcas, simbolo di una cooperazione difficile
Lo dimostra la recente tensione sul progetto congiunto da 100 miliardi di euro per il Future Combat Air System (Fcas), il jet da combattimento di sesta generazione che dovrebbe sostituire, tra gli altri, i Rafale francesi. La Francia pretende l’80 per cento della quota di lavoro, in contrasto con i precedenti accordi che prevedevano una ripartizione equa tra Parigi, Berlino e Madrid.
Una pretesa che, secondo Rafael Loss dell’Ecfr, riflette una visione profondamente diversa del ruolo delle forze armate: "Le forze francesi sono parte integrante della politica estera nazionale e devono essere pronte ad agire da sole, specialmente in ambito nucleare. La Germania, invece, ha un approccio molto più multilaterale e vincolato ai contesti Nato ed europei".
L’ostacolo fiscale: due velocità strategiche
Al di là delle visioni geopolitiche, a dividere Berlino e Parigi sono soprattutto le finanze pubbliche. La Germania, con un rapporto debito/Pil del 62,3 per cento, ha ampio margine per investimenti straordinari nella difesa. La Francia, invece, con un debito al 114,1 per cento, è sotto procedura per deficit eccessivo e non può permettersi la stessa flessibilità.
Questo squilibrio si riflette anche nel rifiuto tedesco a sostenere la proposta francese di un prestito congiunto Ue per la difesa, simile a quello adottato per il piano NextGenerationEU. Una posizione che blocca di fatto qualsiasi avanzamento verso una reale integrazione fiscale in ambito militare.
Un’opportunità storica a rischio
Secondo Kirkegaard, l’Ue rischia così di sprecare una crisi che avrebbe potuto portare a una svolta storica: "La guerra in Ucraina non porterà a una maggiore integrazione istituzionale o fiscale. Sarà un’opportunità mancata, mentre l’Europa si espanderà verso Est senza rafforzare le sue fondamenta comuni".
L’ambizione di un’Europa della difesa, autonoma e integrata, resta quindi appesa a un difficile equilibrio tra retorica e realtà, visioni nazionali e interessi economici. E, ancora una volta, alla mancata capacità del cuore dell’Europa – Berlino e Parigi – di battere davvero all’unisono.