Alpi, nuovo cimitero dei migranti

Alpi, nuovo cimitero dei migranti
Di Valérie Gauriat
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I controlli alla frontiera fra Italia e Francia costringono i profughi a seguire sentieri pericolosi. Blessing, una nigeriana di 21 anni, è stata la prima vittima, ma altre stanno già seguendo.

Di solito qui a Clavière ci vengono gli appassionati di sci. Alle porte del piccolo comune della Val di Susa però in questa giornata di primavera si nota un inusuale spiegamento di forze dell'ordine.

Poche centinaia di metri più in là, dall'altro lato del confine con la Francia, all'entrata di un'altra nota località sciistica, il comune di Monginevro, alcune decine di francesi e italiani sono venuti a manifestare e a esprimere la loro rabbia davanti alla stazione di polizia.

"Una donna è morta - denuncia un manifestante -. Blessing è stata ritrovata mercoledì nei pressi della diga di Presle nella Durance, il fiume che attraversa Briançon. Una donna nera senza documenti di cui nessuno ha denunciato la scomparsa".

Un suo compagno prosegue: "Signore e signori poliziotti e gendarmi, non vogliamo che dopo l'inferno libico e il cimitero mediterraneo, l'attraversamento di questa frontiera si trasformi in un nuovo ostacolo mortale per gli esuli che desiderano venire in Francia".

I locali aiutano regolarmente i migranti che affrontano la montagna per raggiungere la regione di Briançon. Anche a rischio di farsi perseguire dalla legge.

"Abbiamo evitato molti incidenti - dice Benoît, guida di montagna -. Oggi con la fine dell'inverno ci si rende conto che non sono più il freddo e la neve a causare problemi: è il forte aumento della presenza di polizia e forze militari su questa frontiera, che costringe gli esuli a prendere sentieri sempre più tortuosi, a correre dei rischi per arrivare in Francia".

Un'inchiesta è stata aperta per accertare le cause della morte della ventenne nigeriana. Ma i manifestanti non dubitano delle testimonianze dei suoi compagni di sventura: per loro è colpa degli agenti che li hanno inseguiti mentre cercavano di raggiungere un paese vicino. La polizia, interpellata, nega energicamente: "Per me è stato un passeur", accusa un poliziotto.

Ma per la ragazza che legge il comunicato in italiano, "Questa morte non è una fatalità. È un omicidio, con mandanti e complici ben facili da individuare. In primis i governi e le loro politiche di chiusura della frontiera e ogni uomo e donna in divisa che le porta avanti. Gendarmi, polizia di frontiera, chasseurs alpins, e ora pure quei ridicoli neofascisti di Generazione Identitaria pattugliano i sentieri e le strade a caccia di migranti".

Migranti che sono più di 3 mila ad aver sfidato la montagna negli ultimi due anni per andare a chiedere l'asilo in Francia.

Generazione identitaria arresta... no, "segnala" i migranti

Rinforzi di polizia e gendarmeria sono apparsi in questa regione delle Alpi francesi pochi giorni dopo una spettacolare operazione dell'estrema destra europea, lo scorso aprile, venuta a chiedere la chiusura dell'area. Alcune decine di militanti del gruppo Generazione Identitaria hanno eretto una barriera simbolica contro i migranti sul Colle della Scala.

​Abbiamo incontrato qualche giorno dopo gli attivisti del gruppo rimasti nella regione, che affermano di essere lì per aiutare le forze dell'ordine a pattugliare la zona in cerca di migranti: ​"Svolgiamo missioni di sorveglianza alla frontiera - spiega Aymeric, portavoce di Generazione Identitaria - e stiamo conducendo un'indagine sulla popolazione, che ci sostiene in massa, per raccogliere informazioni sulle reti dei passeur e sul passaggio dei migranti clandestini e trasmettere poi queste informazioni ai servizi di polizia. In quindici giorni abbiamo arrestato una ventina... - si ferma, si corregge - abbiamo denunciato una ventina di clandestini. Segnaliamo la loro presenza alla polizia e ne indichiamo la posizione perché possano venire ad arrestarli".

​"E voi vi sentite legittimati - chiede la nostra inviata Valérie Gauriat - a cercare di bloccare queste persone che hanno fatto non solo questa traversata, ma che sono partiti da molto lontano e hanno sofferto di tutto?"

"Certo - è la risposta -. Siamo cittadini solerti e vogliamo difendere il nostro popolo, gli europei. Quindi sì, se lo Stato ha deciso di abbandonare il suo popolo, noi siamo qui. Siamo qui per gli europei, per la difesa della nostra identità".

L'Odissea sulle montagne

Torniamo sull'altro lato della frontiera, a Clavière, verso un rifugio che è uno dei punti da dove parte chi tenta il passaggio in Francia. Ma all'interno le telecamere non sono benvenute. 

E c'è una ragione. Qui i candidati al passaggio alla frontiera venuti da tutta Italia vengono accolti da volontari francesi e italiani che li aiutano a recuperare le forze prima della partenza. Volontari che solo per questo sono perseguibili penalmente, e che a loro volta denunciano abusi e illeciti da parte delle autorità.

"Per legge un richiedente asilo dovrebbe potersi presentare senza documenti alla frontiera e dire che ha bisogno di protezione - spiega una militante che è voluta restare anonima -. Invece se qualcuno cerca di passare normalmente, in pullman per esempio, viene riportato alla frontiera e di conseguenza è costretto a passare per sentieri di montagna che sono molto pericolosi per evitare di essere rispedito in Italia".

Una di queste persone ha accettato di condividere con noi in modo anonimo la sua esperienza. Il giorno prima ha cercato di passare il confine con il fratello minorenne. Sono stati intercettati dalla polizia italiana che ha lasciato passare solo il più giovane.

"Ci hanno chiesto dove andavamo - racconta il giovane -. Ho detto che stavamo andando in Francia. Ci hanno perquisito gli zaini e ci hanno chiesto l'età. Il piccolo ha detto di essere nato nel 2000 e allora l'hanno lasciato andare. Io ho detto di essere nato nel 1999, e mi hanno risposto: be', allora sei maggiorenne".

Ci riproverà il giorno stesso, insieme ad altri. "Perché non voglio più vivere qui. Il vero problema è innanzi tutto la lingua" - dice. Impossibile andare con loro, aumenterebbe il rischio di essere intercettati. Quel giorno, il gruppo riuscirà a passare.

Un Rifugio Solidale per una prima accoglienza che manca

È nella città di Briançon, una quindicina di chilometri più in là, che i migranti potranno tirare un po' il fiato. L'ambita meta per loro si chiama Rifugio Solidale. Qui sono appena arrivati sei uomini da Clavière, sono sfiniti.

​"A che ora siete partiti?" chiediamo. "Alle 9 del mattino - risponde uno di loro, e siamo arrivati qui alle 15. Abbiamo fatto tutto il percorso a piedi"

Un secondo narra la sua esperienza: "Ho preso la montagna, e sono partito sul... come si dice... il ponticello che bisogna attraversare... Sull'asfalto non si può, bisogna prendere i sentieri in alto, per potersi nascondere dalla polizia. Spesso la polizia frena. Se frenano, freni anche tu":

È bagnato e sporco. Gli chiediamo se è caduto. La risposta è sì: "Non è facile. Ho sofferto".

I pasti, l'alloggio, gli abiti, le cure mediche... decine di volontari si alternano qui per soddisfare le necessità dei loro ospiti di passaggio. Dopo aver ripreso le forze, la maggior parte di loro ripartirà verso altre città francesi dove presenterà domanda d'asilo.

L'attività al rifugio non si ferma mai, spiega Anne, una volontaria: "Accogliamo i nuovi arrivati, andiamo all'ospedale, ci occupiamo dei trasporti, dei biglietti del treno, di contattare i loro parenti e amici se hanno un posto dove andare. Hanno un gran bisogno di essere rassicurati. Hanno molta paura di venire arrestati, anche se hanno il diritto di chiedere l'asilo in Francia, ma anche questo è diventato più che difficile. Per cui loro sono sempre più preoccupati e noi non possiamo garantire loro nulla".

​Justin, camerunense, ha presentato richiesta d'asilo come rifugiato politico sette mesi fa. In attesa della risposta non è autorizzato a lavorare, e allora nel frattempo dà una mano ai volontari del rifugio. Ma essendo arrivato in Europa dall'Italia, potrebbe essere rimandato indietro, sulla base del regolamento di Dublino che prevede che la richiesta d'asilo debba essere presentata nel primo paese in cui si è stati identificati.

"C'è chi pensa che si viva bene solo qui - dice Justin -. Eppure, piuttosto che vivere la vita che vivo qui, penso che starei meglio nel mio paese con la mia famiglia, con mio figlio, e con la mia vita. Per cui se siamo qui è per una buona causa".

Progettato inizialmente per una ventina di persone, il rifugio solidale ne ospita regolarmente un centinaio. Joël, uno dei responsabili del rifugio, lamenta la mancanza di centri di prima accoglienza in Francia per coloro che non hanno ancora potuto presentare la richiesta d'asilo: "Non spetta alla polizia decidere se la loro domanda d'asilo è legittima. C'è un organismo in Francia che si chiama Ofpra, l'Ufficio francese di protezione dei rifugiati e degli apolidi, che ha il compito di occuparsi di queste pratiche, istruirle e poi emettere un verdetto. Nell'attesa ci dovrebbe essere una politica di prima accoglienza in Francia. Ed è questo lavoro che non viene fatto dallo Stato, che facciamo invece noi volontari. Ma non spetterebbe a noi farlo. Soprattutto ci viene chiesto di accogliere anche dei minori, ma questo in realtà sarebbe illegale".

Il giorno dopo alcuni dei volontari del rifugio organizzano un sit-in con 23 minorenni di fronte al commissariato di polizia di Briançon. È qui che vengono registrati i minori non accompagnati, e una volta registrati il Consiglio provinciale è tenuto per legge a prendersene carico immediatamente. Ma alcuni di questi ragazzi sono in attesa al rifugio già da 15 giorni.

Ne sarà valsa la pena: alla fine della giornata 18 dei 23 giovani partiranno per Gap, sede del Consiglio provinciale.

Movado: un sogno da realizzare un passo dopo l'altro

Noi abbiamo appuntamento al liceo di Briançon. Movado è arrivato un anno e mezzo fa. Al liceo segue una formazione nei mestieri dell'edilizia.

Il giovane guineano è stato salvato durante l'attraversamento della montagna. Dal momento del suo arrivo è stato ospitato da una coppia con cui vive in un paesino a una ventina di chilometri da Briançon.

Una coppia che descrive come "persone molto care. Si prendono molta cura di me. Mi hanno anche aiutato a entrare al liceo. Non sono un altro figlio per loro, ma si prendono cura di me e io comunque le considero come dei sostituti di mio padre e mia madre".

Al suo arrivo, Yves e Fanfan l'hanno accolto in casa loro. Era malato e gravemente assiderato. L'hanno fatto curare e sono stati al suo fianco instancabilmente nelle pratiche per la richiesta d'asilo.

La coppia ospita anche altri tre giovani. Deserto, carceri libiche, traversata del Mediterraneo... Tutti hanno conosciuto l'inferno. E nonostante l'affetto e il sostegno della coppia i timori per il futuro restano, dice Fanfan: "Stanno bene, ma pensare al dopo è straziante. Non si può dire che è finita, che stanno bene e siamo contenti. No. Fino a quando staranno bene? Le leggi stanno cambiando. Fra qualche mese saranno ancora più rigide. Che cosa ne sarà di loro? Di tutti, intendo".

Yves non si pente di averli aiutati: "A parte questo, bisogna dire che ci danno anche una bella energia... Perché questa forza di volontà che hanno avuto per tutto questo tempo carica anche noi in qualche modo".

A 19 anni Movado sogna di fare l'idraulico e di restare a vivere in Francia per molti anni. Un sogno appeso al filo dell'accettazione dello status di rifugiato.

"In questo momento non mi sento davvero libero - confessa -, perché sono in attesa, non ho documenti, devo aspettare una risposta. Se la risposta è positiva avrò i documenti, se è negativa bisognerà fare ricorso. E tutto questo è sempre nei miei pensieri, ci penso molto, ma ho anche molta speranza. Poco a poco ci arriverò, un passo dopo l'altro".

Yves e Fanfan fanno tutto quel che possono per sostenere i loro protetti, con l'aiuto degli avvocati. Ma sanno che non bisogna dare nulla per scontato.

"Penso che la cosa più importante sia che hanno più fiducia in se stessi - commenta Fanfan -. E se hanno più fiducia in se stessi diventano più forti. E se sono più forti forse avranno più chance. È tutto quel che si può dire".

Yves denuncia: "Questa storia dell'accoglienza e della solidarietà dei montanari è stata molto mediatizzata. Ma non serve a molto se consideriamo le avversità che ci troviamo ad affrontare nel modo in cui i poteri della politica trattano la questione. E allora siamo un po' arrabbiati".

​Una rabbia mista a tristezza, condivisa la sera del giorno dopo da alcune decine di abitanti della vallata, venuti a rendere un ultimo omaggio alla giovane nigeriana il cui corpo senza vita è stato ritrovato in questo fiume.

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