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Raid thailandesi in Cambogia, Trump annuncia “telefonata per fermare la guerra"

I residenti thailandesi che hanno abbandonato le loro case in seguito agli scontri tra soldati thailandesi e cambogiani
I residenti thailandesi che hanno abbandonato le loro case in seguito agli scontri tra soldati thailandesi e cambogiani Diritti d'autore  Wason Wanichakorn/Copyright 2025 The AP. All rights reserved.
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Di Euronews
Pubblicato il Ultimo aggiornamento
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Raid thailandesi sul confine cambogiano e accuse incrociate: la crisi tra i due Paesi si riaccende. Ecco cause, dinamiche e rischi di escalation

La fragile tregua tra Thailandia e Cambogia è durata solo poche settimane: all’alba, due caccia F-16 thailandesi hanno colpito un’area nella provincia cambogiana di Banteay Meanchey, riaccendendo un conflitto che i due Paesi si erano impegnati a congelare lo scorso ottobre.

L’operazione – confermata da Phnom Penh e non commentata da Bangkok – segna l’ingresso della crisi in una fase più dura, in cui diplomazia e deterrenza sembrano aver perso presa. La regione di confine, già teatro di dispute territoriali irrisolte, torna così al centro di uno scontro potenzialmente destabilizzante per l’intero Sud-Est asiatico.

Gli scontri al confine tra Thailandia e Cambogia hanno provocato 13 morti e oltre 100 feriti. In Cambogia, il bilancio è di 7 civili e 2 militari morti e 46 feriti, con oltre 127.000 sfollati, mentre in Thailandia si contano 4 militari uccisi e almeno 68 feriti, con più di 400.000 evacuati.

Entrambi i Paesi si accusano reciprocamente di attacchi contro aree civili: Bangkok denuncia bombardamenti e raid cambogiani con razzi e droni vicino a scuole e ospedali, mentre Phnom Penh accusa la Thailandia di aver impiegato gas tossici durante le operazioni aeree, causando feriti tra militari e civili.

L’uso della forza aerea rappresenta un salto qualitativo nelle ostilità, segnale del progressivo deterioramento delle relazioni bilaterali nonostante la tregua firmata a Kuala Lumpur il 26 ottobre.

Una diplomazia in stallo

Sul piano politico, la crisi mostra una paralisi quasi completa degli strumenti diplomatici. Il presidente statunitense Donald Trump, che aveva contribuito alla mediazione estiva, ha dichiarato di voler intervenire nuovamente, definendo lo scontro tra Thailandia e Cambogia un conflitto che sarebbe stato in grado di contenere.

Bangkok ha però respinto l’ipotesi di un suo coinvolgimento. Il ministro degli Esteri Sihasak Phuangketkeow ha spiegato che la situazione attuale non offre alcun “potenziale per un negoziato”, chiudendo all’ingresso di terze parti. Al contrario, Phnom Penh si dice pronta a dialogare “in qualsiasi momento”, ma l’apertura unilaterale è insufficiente a produrre un tavolo effettivo.

Il risultato è un vuoto diplomatico in cui le ostilità proliferano senza argini.

La scintilla: la mina e le accuse incrociate

Il crollo della tregua ha una data precisa: l’incidente durante un’operazione di sminamento lungo il confine, in cui una mina ha gravemente ferito un soldato thailandese. Bangkok accusa la Cambogia di aver collocato l’ordigno di recente; Phnom Penh respinge la responsabilità e denuncia una risposta militare sproporzionata della Thailandia nei giorni successivi.

Da quel momento si è riattivata una spirale di recriminazioni che comprende artiglieria, droni armati e – da ultimo – bombardamenti aerei.

La Thailandia denuncia attacchi cambogiani nella zona del tempio di Preah Vihear e nei pressi dell’ospedale Phanom Dong Rak; la Cambogia accusa Bangkok di aver colpito aree civili nelle province di Pursat e Battambang e di aver violato più volte lo spazio aereo.

Versioni inconciliabili, che rendono impossibile stabilire responsabilità certe e alimentano una comunicazione di guerra sempre più tesa.

Civili in fuga e segnali di crisi prolungata

Le conseguenze umanitarie sono in rapida crescita. In Thailandia oltre 400.000 persone sono state evacuate in rifugi temporanei, mentre la Cambogia ha spostato più di 101.000 civili dalle aree più esposte. Le comunità transfrontaliere, spesso unite da legami familiari e commerciali, si trovano improvvisamente spezzate in due da un conflitto percepito come estraneo alla propria vita quotidiana.

Nei primi giorni di scontri si contano almeno dieci morti: sette civili cambogiani e tre soldati thailandesi. Nonostante ciò, nessuna delle due parti ha mobilitato nuovi contingenti su larga scala. Ma la decisione cambogiana di ritirare i propri atleti dai prossimi Giochi del Sud-Est Asiatico in Thailandia segnala una rottura anche simbolica, spesso preludio a una crisi più lunga.

Le radici storiche del contenzioso

Per comprendere la profondità della crisi attuale è necessario risalire alla storia delle due nazioni. Le relazioni tra Thailandia e Cambogia sono segnate da secoli di rivalità, territoriali e culturali.

Il confine definito dalle potenze coloniali nel XX secolo ha lasciato zone ambigue, specialmente nelle aree montuose dove si trova il tempio di Preah Vihear, luogo sacro e oggetto di contesa. La Corte Internazionale di Giustizia assegnò il sito alla Cambogia nel 1962, decisione mai del tutto accettata dai settori nazionalisti thailandesi.

Durante il periodo dei Khmer Rossi, la Thailandia svolse un ruolo cruciale nei rapporti con i gruppi armati cambogiani, alimentando una percezione di ingerenza. Il tentativo di Phnom Penh di far riconoscere Preah Vihear come patrimonio Unesco nel 2008 riaccese le tensioni, dando avvio a una serie di scontri di confine che si sono ripetuti ciclicamente negli anni successivi.

In questo quadro, la crisi attuale non è un episodio isolato ma l’ennesima manifestazione di una disputa mai risolta.

Prospettive: tregua difficile, rischio alto

La temporanea riduzione della violenza nelle ultime ore non indica un reale miglioramento.

L’incidente della mina, la rottura dell’accordo di ottobre e il ritorno ai bombardamenti aerei indicano un conflitto destinato a protrarsi, con potenziali ripercussioni anche sugli equilibri regionali. Nel Sud-Est asiatico, dove ASEAN fatica da anni a gestire le tensioni interne, la crisi tra Thailandia e Cambogia rischia di diventare un nuovo punto critico difficile da contenere.

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