Le relazioni tra Stati Uniti e Russia hanno subito una svolta drammatica dopo il confronto pubblico tra Donald Trump e Dmitry Medvedev. Gli Usa nei giorni scorsi hanno avvicinato due sottomarini ai territori di Mosca
Quello che era iniziato come un riavvicinamento nei primi mesi del mandato di Trump si è trasformato in una crisi diplomatica che ha portato all'annuncio del dispiegamento di sottomarini nucleari statunitensi vicino al territorio russo.
La svolta è avvenuta quando Dmtry Medevdev, vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, ha definito l'ultimatum di Trump al presidente Vladimir Putin sulla fine del conflitto in Ucraina "una minaccia e un passo verso la guerra". Inoltre, a giugno, in seguito agli attacchi aerei statunitensi agli impianti nucleari dell'Iran, alleato di Mosca, Medvedev ha suggerito che "diversi Paesi" erano disposti a fornire testate nucleari a Teheran, attirando le ire di Trump, che lo ha accusato di minacciare "casualmente" un attacco nucleare.
La retorica di Medvedev si è ulteriormente inasprita, arrivando a fare allusioni al sistema di controllo degli armamenti nucleari semi-automatico "Mano morta" di Mosca in un post su Telegram in cui criticava Trump. Queste dichiarazioni, ritenute "altamente provocatorie" dal presidente statunitense, hanno spinto Trump a ordinare il posizionamento di due sottomarini nucleari "nelle regioni appropriate, nel caso in cui queste dichiarazioni folli e infiammatorie siano più che semplici parole".
Questa escalation contrasta nettamente con il clima dei primi mesi del mandato di Trump, quando Medvedev aveva addirittura elogiato il presidente repubblicano per la sua volontà di sconvolgere l'ordine economico mondiale e per aver affrontato Zelensky alla Casa Bianca, accusando il leader ucraino di "giocare alla Terza Guerra Mondiale".
I critici hanno descritto le affermazioni di Medvedev come un tentativo di mantenere la rilevanza politica nei circoli russi d'élite, ma Trump ha preso sul serio le minacce, soprattutto dopo che l'ex leader russo ha definito gli occidentali "bastardi e degenerati" e ha dichiarato che "l'Ucraina è, ovviamente, la Russia".
La trasformazione politica di Medvedev dal riformismo al radicalismo
Dmitrij Medvedev, 59 anni, nato a San Pietroburgo quando era ancora chiamata Leningrado, rappresenta uno dei casi più eclatanti di trasformazione politica del Cremlino contemporaneo. La sua carriera politica deve tutto a Putin, che lo portò a Mosca nel 1999 come pupillo e lo elevò rapidamente a presidente del gigante del gas Gazprom, capo di gabinetto del Cremlino e primo vice primo ministro.
Durante la sua presidenza tra il 2008 e il 2012, Medvedev è stato visto come un riformatore liberale che cercava legami "amichevoli" con l'Europa e gli Stati Uniti. Nel 2010 ha firmato un trattato di riduzione degli armamenti nucleari con Barack Obama, nel 2011 ha fatto entrare la Russia nell'Organizzazione mondiale del commercio dopo 18 anni di negoziati e ha adottato una politica estera di non confronto con "nessun Paese". Il suo programma di modernizzazione, anche se criticato per essere più retorico che reale, ha contrastato con le posizioni più dure del Cremlino.
Tuttavia, è sempre stato chiaro chi fosse il partner principale in un duo che i cablogrammi diplomatici statunitensi hanno paragonato a "Batman e Robin". Il suo primo atto dopo aver vinto le elezioni del 2008 con il sostegno di Putin è stato quello di nominarlo primo ministro, conferendogli ampi poteri decisionali. Mentre alcuni in Occidente hanno salutato il suo arrivo, altri lo hanno visto solo come un surrogato temporaneo che permette a Putin di aggirare i limiti costituzionali sui mandati consecutivi.
La decisione della Russia di inviare truppe in Georgia nel 2008, che ha incrinato le relazioni con l'Occidente, è un esempio di questa dinamica: sebbene Medvedev abbia insistito sul fatto che si trattasse di una sua decisione, un alto generale ha affermato che era stata pianificata da Putin già prima dell'insediamento presidenziale. Durante questo periodo, Mosca si è anche astenuta in un voto chiave del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla Libia nel 2011, che ha spianato la strada all'intervento militare guidato dalla Nato, una decisione che Putin ha da allora criticato senza sosta.
L'ex capo di Stato e primo ministro (2012-2020) ha adottato un tono aggressivamente anti-occidentale, moltiplicando le critiche contro il presidente ucraino Volodymir Zelensky, attaccando i principi europei e pronunciando minacce di guerra nucleare distruttiva. I suoi attacchi si sono estesi a figure come il cancelliere tedesco Friedrich Merz, che ha accusato di "mentire come Goebbels", e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che ha descritto come "malvagia".
Questa trasformazione coincide con la perdita di protagonismo politico di Medvedev, che è stato messo in disparte dall'ascesa del clan dei "siloviki" (militari e servizi di sicurezza) e alla fine è stato spodestato come primo ministro nel 2020. Attualmente relegato a un ruolo limitato di vicepresidente del Consiglio di sicurezza, le sue dichiarazioni sembrano un tentativo di riguadagnare rilevanza attraverso posizioni sempre più radicali che contrastano con il suo passato riformista.