A Maaloula, la lingua aramaica parlata da Gesù è ancora viva, come le paure della sua gente. I residenti affrontano grandi sfide dopo i cambiamenti politici in Siria, sospesi tra il timore di nuovi massacri settari e la speranza di tornare a convivere con i musulmani, in un clima di tensione
I cristiani siriani hanno celebrato la prima Domenica delle Palme dopo la caduta del regime di Bashar al-Assad, in uno scenario eccezionale che si è diffuso in diverse province siriane, tra cui la città di Maaloula nella campagna di Damasco.
Le celebrazioni di quest'anno si sono svolte sotto la pesante protezione delle Forze di Pubblica Sicurezza del Ministero dell'Interno, che si sono schierate intorno alle chiese e hanno bloccato le strade che vi conducevano per garantire il pacifico svolgimento dei riti.
Nonostante l'atmosfera apparentemente normale delle celebrazioni, la paura era evidente negli occhi di tutti. Quella della domenica scorsa, era la prima volta che i residenti celebravano la Domenica delle Palme dopo la caduta del regime e affrontando le grandi sfide imposte dai cambiamenti politici e di sicurezza, oltre ai conflitti settari, ai recenti massacri sulla costa siriana e alle continue violazioni in tutto il Paese.
Euronews ha ascoltato le toccanti testimonianze dei residenti della città - i nomi degli intervistati in questo articolo sono stati cambiati per garantire l'anonimato - che hanno raccontato le loro storie e condiviso le loro riflessioni sulla realtà dei cristiani che vivono lì.
Tra apprensione e speranza di convivenza
"La domenica delle Palme si è svolta in un'atmosfera positiva, ma c'era apprensione", dice uno degli anziani della città, aggiungendo: "Il Paese è all'inizio della sua formazione e la sua identità è sconosciuta. Quando guardi le persone intorno a te, non sai se ti accettano davvero o se fanno finta. Ma nelle mie interazioni quotidiane con loro, vedo la bontà in loro. Vogliamo che questo evolva, vogliamo costruire la fiducia, che finora è stata quasi inesistente. Vogliamo solo la pace per tutti e non essere costretti a migrare".
Chi garantisce la sicurezza in Siria?
Rawia, madre di quattro figli, racconta come la sua vita prima del 2011 fosse molto diversa da quella di oggi. "Prima della guerra eravamo tutti una sola famiglia. Musulmani e cristiani crescevano insieme e si rispettavano a vicenda. Chiese e moschee erano vicine e nessuno pensava alla religione o alla setta quando si trattava di rapporti di vicinato o di amicizia. Ma dopo che i gruppi armati hanno preso il controllo della città nel 2013, tutto è cambiato. Siamo stati sfollati, abbiamo perso le nostre case e la nostra terra. Ho temuto per la vita dei miei figli".
Dopo che le forze siriane del deposto regime sono entrate nella città di Maaloula, Rawiya e la sua famiglia hanno iniziato una nuova vita. "Siamo tornati e abbiamo ripreso a restaurare le nostre case e le nostre terre, cercando di stabilizzarci in mezzo a tutte le complessità che ci circondavano", racconta la donna, ma con un forte senso di insicurezza.
"Dopo la caduta del regime - prosegue la donna - la sicurezza non era più la stessa. Giovani che erano amici dei miei figli ora portano armi e ci minacciano in termini settari. Non posso dire di sentirmi al sicuro come in passato".
"Come cristiana che vive a Maaloula, non mi importa se il presidente della Siria è Ahmad al-Sharaa o chiunque altro. L'importante per me è che il presidente o il governante garantisca sicurezza e stabilità, prevenga il caos e offra una vita dignitosa a tutti, senza discriminazioni di religione, setta, razza o nazionalità. Vogliamo una Siria per tutti i siriani, un Paese che tratti tutti i suoi cittadini allo stesso modo e che faccia sentire tutti parte di esso senza che nessuno si senta una minoranza. Sogniamo un Paese dove prevalgano la giustizia e la pace, dove tutti vivano con dignità e sicurezza".
In Siria, una costante paura dell'imprevedibile
Youssef, che lavora in un piccolo negozio nel centro della città, descrive la paura che attanaglia i cristiani di Maaloula: "Dopo la caduta del regime, molti abitanti della città sono tornati, soprattutto giovani musulmani che combattevano con le fazioni armate. Alcuni di loro sono ancora legati alla stessa ideologia estremista. Sono stato molestato più volte a causa della mia religione. Mi dicevano: "Eri con il regime", come se fosse una colpa per la quale dovevo essere punito. Non ho preso le armi contro nessuno, non ho fatto del male a nessuno, ma mi trattano come un nemico".
"Viviamo nella costante paura che succeda di nuovo qualcosa. Qui tutti sanno cosa è successo nel Sahel." (Dove dal 2015 è in corso una persecuzione contro i cristiani da parte di gruppi jihadisti).
"Abbiamo paura che si ripeta a Maaloula - spiega Youssef - seppure le autorità dicono che stanno facendo degli sforzi per garantire la sicurezza, ma non possiamo essere completamente rassicurati. Le campane restituite alle chiese sono state un passo importante, ma non sono sufficiente. Vogliamo maggiori garanzie e un futuro sicuro per i nostri figli".
Posti di blocco e negazione dell'accesso alla terra
George, un abitante di Maalula dedito all'agricoltura, racconta che: "Dopo la caduta del regime, una fazione chiamata Suleiman Shah è entrata in città e siamo stati sottoposti a molte pratiche umilianti, tra cui frequenti perquisizioni nelle nostre case con il pretesto di cercare armi o qualsiasi cosa incriminante".
"A noi contadini - prosegue George - è stato anche impedito di accedere alla nostra terra per lavorarla, e queste misure non erano altro che un modo per intimidirci e costringerci a lasciare le nostre case".
La situazione è leggermente migliorata dopo una riunione degli anziani cristiani e musulmani della città, con il sostegno di influenti personalità straniere. Durante l'incontro hanno dichiarato la loro intenzione di voltare pagina. Tuttavia, permangono alcuni comportamenti ostili.
I giovani sono il problema principale
Padre Peter, un prelato locale, che ha assistito alla guerra e alle sue conseguenze, è preoccupato per il futuro: "Maaloula era un luogo di tolleranza e di pace. Ma ora il problema più grande sono i giovani che sono cresciuti durante la guerra. Non hanno conosciuto la coesistenza che conoscevamo con i loro nonni. Sono stati cresciuti con idee estremiste e piene di odio. Nei giorni scorsi ci sono stati tafferugli tra giovani cristiani e musulmani e sono state usate chiaramente parole settarie".
"Vogliamo solo la pace"
Maria, una giovane madre, esprime la speranza di un futuro migliore per i suoi figli: "Sono nata e cresciuta a Maaloula e non riesco a immaginare una vita lontana da qui. Ma ho paura per i miei figli. Quando li vedo giocare per strada, temo che un giorno affronteranno parole di odio o di violenza a causa della loro religione. Noi vogliamo solo pace e convivenza. Vogliamo sentirci cittadini uguali, non esseri umani di seconda classe".
"Quello che è successo nel Sahel - aggiunge la donna - ha lasciato una ferita profonda nei nostri cuori. Abbiamo paura che qualcosa di simile possa accadere anche qui. È vero che ora pratichiamo liberamente, e le campane che sono state restituite alle chiese simboleggiano una sorta di ritorno alla normalità, ma guardiamo ancora al futuro con grande cautela. Vogliamo credere che i prossimi giorni saranno migliori, ma la paura è ancora presente".
Il futuro dei cristiani di Maaloula e del Paese nel suo complesso dipende dalla capacità dello Stato e della società di raggiungere l'uguaglianza e la giustizia e di proteggere la diversità culturale e religiosa che rende la Siria ricca di storia e patrimonio.