La storia delle Vele di Scampia tra speranza e dura realtà

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Di Cecilia Cacciotto
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Progetto avvenieristico, pensato per ricreare il villaggio, le Vele di Scampia l'esempio peggiore di uno sviluppo urbano calato dall'alto e che dimentica il cittadino

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Poche cose ci parlano dell’evoluzione di una società come le città. Cosa raccontano le Vele di scampia?

Assurte a simbolo della gestione di una città da parte della criminalità organizzata, il quartiere delle Vele di Scampia viene costruito tra il 1962 3 il 1975. Sette palazzi di 14 piani dall'aspetto avvenieristico, che dovevano ospitare fino a 1200 nuclei familiari, fatti con un impasto di cemento, ferro e amianto che gli abitanti ribattezzano subito i mostri, ma che nell'idea dell'archietetto Franz Di Salvo dovevano ricostruire la comunità del vicolo.

Un'eresia per Stefano Serafini, filosofo, che da dieci anni lavora a stretto contatto con architetti e urbanisti, una città non può essere calata dall'alto e i vicoli non sono il frutto di planimetrie ma la conseguenza dell'organizzazione di insediamenti umani che per millenni hanno rispettato regole precise.

Dopo gli anni Venti del secolo scorso questi schemi sono saltati e hanno dato spazio a città fantasma, prive d'anima e soprattutto di cittadini.

Fino agli anni Venti la partecipazione del cittadino alla costruzione della città era fondamentale, spiega Serafini: la partecipazione cittadina non nel progetto tecnico finale ma nel definire il rapporto tra spazio e abitanti. Fino a allora la costruzione di una città avveniva secondo regole che rispettavano norme antichissime che stabilivano una costruzione etica della città. (Per cui, ad esempio, la finestra di una casa non dava mai sul giardino di un'altra abitazione, non metteva in ombra un'abitazione o non ne copriva la vista).

Questo schema a un certo punto è saltato . "Dopo Le Corbusier si è imposta una visione quasi illuministica, ipermodernistica della città dove menti illuminate hanno preteso di insegnare agli altri come vivere", commenta Serafini.

A metà strada tra innovazione e sperimentazione urbanistica

Costruite con la legge 167 del 1962, le sette vele di Scampia erano state progettate su incarico della Cassa del Mezzogiorno. L'architetto si ispirò ai princìpi di Le Corbusier, immaginò e progettò una serie di attrezzature collettive che non vennero mai realizzate.

Dopo il terremoto del 1981 i senza casa di tutta la città iniziano ad occuparne gli appartamenti, provenivano da quartieri diversi e avevano storie diverse a accomunarli una condizione di estrema indigenza ma anche il sostegno dei movimenti di lotta per la casa che vedevano in Scampia la soluzione al problema.

Una politica sociale inadeguata, da un lato, e la criminalità, dall'altro, hanno fatto scempio del quartiere ma non hanno avuto la meglio sui cittadini, E nel 1986 nasce il Comitato Vele che spinge per il riscatto e la riqualificazione dell'area.

La lotta per la demolizione comincia a trovare ascolto negli anni 90 quando la Giunta Bassolino istituisce un Ufficio per le periferie. Con la Finanziaria del 1993 vengono stanziati 160 miliardi di lire per la demolizione delle Vele e la ricostruzione di nuove case.

Chi vince oggi a Scampia?

L'abbattimento delle vele oggi è inevitabile, ma non tutti cantano vittoria. Per Stefano Serafini è una grande sconfitta, "abbiamo sbagliato per 50 anni, i grandi accademici dell'architettura che hanno promosso questo tipo di risultati, così come la politica italiana che ha pensato voluto questo tipo di soluzioni hanno distrutto il nostro Paese".

"Si costruiranno piccole vele, ma temo che ancora una volta il cittadino non verrà messo al centro del tessuto urbano", conclude Serafini.

Prima i geometri poi le archistar. Chi ha rovinato le città?

Nel 2007 l'allora ministro dei Beni culturali, Francesco Rutelli innescava la polemicha con i geometri con quest'affermazione: "Gli architetti e gli urbanisti del dopoguerra hanno perso una battaglia storica, magari anche per colpa della politica. Non sono riusciti a imporre una leadership culturale e quindi una cifra stilistica alla trasformazione del territorio nell'Italia contemporanea. Di fatto hanno vinto i geometri che hanno accondisceso in modo incompetente, sbrigativo e dozzinale a ogni bisogno del committente. Coi risultati che vediamo".

Oggi, Stefano Serafini rischia di innescare la polemica con le archistar. Ecco perché. (clicca il video).

Cosa fare, allora? Fare a meno degli architetti? Non proprio, ma dovrebbero farsi un pochino da parte, cercando di essere meno protagonisti, meno star,  interpretare piuttosto le esigenze  anche il malessere dei cittadini. Dovrebbero tornare a ascoltare i cittadini . "Dovrebbe riconnettersi alla realtà della vita, capire di cosa veramente abbiamo bisogno, le esigenze reali, gli architteti dovrebbero cercare di ascoltare i cittadini "ma per davvero".

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