"Le epidemie? Cambiano la storia e ora la Cina potrebbe perdere potere"

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Di Gioia Salvatori
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Gilberto Corbellini, docente di storia della medicina alla Sapienza, spiega l'impatto delle epidemie sulla storia dell'umanità, perché il nostro cervello non è pronto a non avere paura del contagio e come di questo spesso ne approfitti il potere

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Le epidemie hanno segnato la storia. L'influenza spagnola che nel 1918 uccise decine di milioni di persone nel mondo fu l'ultima pandemia mortale di massa; il colera e la tubercolosi che agli albori dell'era industriale costrinsero i governi a ristrutturare le città, tanto che Parigi fu totalmente ricostruita.

Andando più indietro, la peste nera del 1300 cambiò profondamente la società: dopo aver sterminato metà della popolazione, per esempio, le corporazioni si aprirono a nuovi membri che prima non avrebbero accettato. Più lontano ancora alle radici della cultura occidentale: fu un batterio, forse la salmonella, concausa della fine dell'età di Pericle. E la peste contribuì al crollo dell'impero romano, favorendo lo sviluppo del cristianesimo "perché i cristiani avevano un'organizzazione assistenziale migliore e sopravvivevano più dei pagani". "In questi contesti ci sono sempre stati grandi cambiamenti sociali".

Le epidemie hanno sempre avuto un impatto importantissimo sulla storia dell'uomo
Gilberto Corbellini
Docente di storia della medicina alla Sapienza

Ce lo spiega Gilberto Corbellini, epistemologo e filosofo, docente di storia della medicina alla Sapienza di Roma.

Gli abbiamo chiesto come e se il Coronavirus cambierà la storia della Cina.

"Non ho la sfera di cristallo. Difficile dire come il Coronavirus influenzerà la storia della Cina ma quello che si capisce è che la Cina non è ancora ben organizzata per fronteggiare questo tipo di problemi. Quindi può anche essere la più grande economia mondiale ma le potrebbe essere difficile mantenere saldamente nelle mani il poterese scoppiasse una pandemia".

La Cina può anche essere la più grande economia mondiale ma le potrebbe essere difficile mantenere saldo il potere, se scoppiasse una pandemia
Gilberto Corbellini
Docente di storia della medicina

Il cervello e la paura atavica del contagio

Perché nonostante da decenni condividiamo le città con i cinesi, scattano dinamiche razziste, isolamento, magari anche nei confronti di persone che da lustri non visitano la Cina?

Colpa anche di com'è fatto il nostro cervello: abituato per centinaia di migliaia di anni senza cure, a temere i contagi. "Questa paura del contagio, la ricerca dei capri espiatori, continuano ad essere qualcosa che non riusciamo a controllare. Siamo tarati così e non c'è stato sufficiente tempo per cambiarci geneticamente. In più siamo anche tanti sulla faccia della terra, quindi è più difficile", spiega Corbellini.

Il potere e le nostre paure ataviche

Insomma il nostro cervello non si è ancora evoluto abbastanza da non averne paura del contagio. Un'attitudine che il potere sfrutta: "È tipico che la minaccia della pandemia sia usata per introdurre leggi più restrittive, per mettere al bando o per additare razzisticamente alcune popolazioni. Lo ha fatto Trump negli ultimi anni con i Messicani, lo ha fatto qualcuno anche in Italia dove ogni tanto uno si alzava e diceva che i migranti portano la tubercolosi. Ci sono storie anche significative: la paura del contagio e il razzismo possono innescare anche dei conflitti civili", dice Corbellini.

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