Il gotha della politica europea alle cerimonie in ricordo di Auschwitz

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Di Paolo Alberto Valenti
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A Gerusalemme in occasione del quinto convegno mondiale sull'Olocausto l, i politici europei s'interrogano sul moltiplicarsi dell'antisemitismo nel mondo

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Gerusalemme - Al quinto convegno mondiale sull’Olocausto e le celebrazioni per i 75 anni dalla liberazione del campo di concentramento di Auschwitz grande partecipazione delle massime cariche della politica europea e internazionale. Fra i primi a prendere la parola il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier che ha spiegato come sia impossibile dire che i tedeschi abbiamo imparato dalla storia (quella lezione che i popoli non apprendono mai abbastanza). "L'antisemitismo c'è e dietro di esso le critiche alla politica di Israele" ha aggiunto Steinmeier.

Le parole di Macron

Per il presidente francese Emmanuel Macron c'è bisogno di questa unità dell'Europa "della comunità internazionale perchè oggi nelle nostre democrazie l'antisemitismo risorge, violento, brutale. E' presente. L'antisemitismo".

Il tormento della storia, la paura che si ripresenti

Quest'anno le cerimonie per il ricordo della liberazione dell'oppressione nazi-fascista si sono fatte più accorate un po' ovunque e i politici che non hanno manifestato la loro forte avversione alla risorgenza di pensieri nazionaisti vecchio stampo, conditi da un razzismo strisciante, non sono stati invitati agli appuntamenti della memoria.

**Nel lager di Auschwitz **

Il 27 gennaio 1945 verso mezzogiorno le avanguardie delle truppe del generale sovietico Kurockin aprirono i cancelli di Auschwitz dove trovarono circa 7 mila prigionieri abbandonati. Molti erano bambini e una cinquantina di loro aveva meno di otto anni (erano stati usati come cavie per la ricerca medica).  I primi elementi sospetti di quello che era avvenuto furono le montagne di vestiti, le tonnellate di capelli pronti per essere venduti. E poi effetti personali, occhiali, valigie, utensili da cucina, scarpe. Com'è noto il museo di Auschwitz, possiede, fra l'altro più di 100 mila paia di scarpe.

Il ricordo di Primo Levi

L’arrivo dei soldati russi è stato descritto, fra gli altri, anche dalla scrittore italiano Primo Levi in un capitolo del suo libro “La tregua”:

La prima pattuglia russa giunse in vista del campo verso il mezzogiorno del 27 gennaio 1945. Fummo Charles ed io i primi a scorgerla: stavamo trasportando alla fossa comune il corpo di Sòmogyi, il primo dei morti fra i nostri compagni di camera. Rovesciammo la barella sulla neve corrotta, ché la fossa era ormai piena, ed altra sepoltura non si dava: Charles si tolse il berretto, a salutare i vivi e i morti.

Erano quattro giovani soldati a cavallo, che procedevano guardinghi, coi mitragliatori imbracciati, lungo la strada che limitava il campo. Quando giunsero ai reticolati, sostarono a guardare, scambiandosi parole brevi e timide, e volgendo sguardi legati da uno strano imbarazzo sui cadaveri scomposti, sulle baracche sconquassate, e su noi pochi vivi.

A noi parevano mirabilmente corporei e reali, sospesi (la strada era più alta del campo) sui loro enormi cavalli, fra il grigio della neve e il grigio del cielo, immobili sotto le folate di vento umido minaccioso di disgelo.

Ci pareva, e così era, che il nulla pieno di morte in cui da dieci giorni ci aggiravamo come astri spenti avesse trovato un suo centro solido, un nucleo di condensazione: quattro uomini armati, ma non armati contro di noi; quattro messaggeri di pace, dai visi rozzi e puerili sotto i pesanti caschi di pelo.

Non salutavano, non sorridevano; apparivano oppressi, oltre che da pietà, da un confuso ritegno, che sigillava le loro bocche, e avvinceva i loro occhi allo scenario funereo.

(…) Charles ed io sostammo in piedi presso la buca ricolma di membra livide, mentre altri abbattevano il reticolato; poi rientrammo con la barella vuota, a portare la notizia ai compagni. Per tutto il resto della giornata non avvenne nulla, cosa che non ci sorprese, ed a cui eravamo da molto tempo avvezzi.

(…) Il mattino ci portò i primi segni di libertà. Giunsero (evidentemente precettati dai russi) una ventina di civili polacchi, uomini e donne, che non pochissimo entusiasmo si diedero ad armeggiare per mettere ordine e pulizia fra le baracche e sgomberare i cadaveri. Verso mezzogiorno arrivò un bambino spaurito, che trascinava una mucca per la cavezza; ci fece capire che era per noi, e che la mandavano i russi, indi abbandonò la bestia e fuggì come un baleno. Non saprei dire come, il povero animale venne macellato in pochi minuti, sventrato, squartato, e le sue spoglie si dispersero per tutti i recessi del campo dove si annidavano i superstiti.

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