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Tutti a casa, ma da dove? Il premier italiano in Medioriente con la sindrome da ritiro

Tutti a casa, ma da dove? Il premier italiano in Medioriente con la sindrome da ritiro
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Di Sergio Cantone
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L'Italia (ri)chiamò¨! Roma conta la truppe. Molti rischi, qualche minaccia, tantissimi interessi economici e una manciata di ambizioni da centro classifica. Il premier Conte va in Medioriente con l'idea di ritirare le truppe, e un domandone: ma vale la pena andarsene da Iraq e Libano?

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L'interesse nazionale italiano si misura con le molteplici e composite combinazioni a portata di mano del governo. Il premier Conte affronta una tournée mediorientale in Iraq, Libano e Kuwait con l'idea di ritirare le truppe da quello scacchiere, sulla scia degli Usa. Allineati e coperti, insomma. Ma quei duemila soldati tricolori presenti nell'area, tra missioni di pace e di sicurezza, presidiano anche una buona fetta di interesse nazionale. Come i cinquecento di Mosul, nel Kurdistan iracheno. I militari italiani sono in quella zona di guardia a una diga altamente strategica sul fiume Tigri. E oltretutto è una zona petrolifera e un crocevia delicato. Insomma, una posizione di vantaggio e di prestigio cui è difficile rinunciare. Il Medioriente rimane per l'Italia una obbiettivo prioritario, esserci è importante. Roma punta all'Africa, ma non può lasciar perdere posti come Iraq e Libano e Golfo persico. Come spesso accade nella storia dell'Italia, le ambizioni e le necessità di politica estera e commerciale sono sproporzianate rispetto all'intensità della sua forza militare. In questa situazione di sindrome da coperta corta, l'unico luogo da cui Roma potrebbe permettersi il lusso di ritirare le truppe sembrerebbe proprio l'Afghanistan, a Trump piacendo.

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