Tangentopoli sudcoreana: erede Samsung nega accuse

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Di Salvatore Falco
Tangentopoli sudcoreana: erede Samsung nega accuse

Si apre a Seul il processo contro l’erede del colosso industriale sudcoreano Samsung, Lee Jae-Yong.

Il suo avvocato ha respinto le accuse di corruzione, frode, falsa testimonianza e appropriazione indebita che sono contestate dalla procura speciale nell’ambito della tangentopoli sudcoreana che ha investito la presidente della Repubblica.

L’udienza è durata circa un’ora, ma Lee – che resta detenuto in carcere – non era presente in aula. Il procedimento contro di lui rischia di durare a lungo, circa 18 mesi.

“Chiedo scusa al popolo della Corea del Sud – sono state le uniche parole di Lee nel mese di gennaio – perché quest’incidente ha fatto emergere una vicenda non positiva”.

L’erede del colosso Samsung avrebbe pagato una tangente da 35 milioni di euro a una società di Choi Soon-Sil, braccio destro della presidente deposta, Park Geun-hye, rappresentante di un culto sciamanico e ribattezzata la ‘Rasputin’ sudcoreana.

Lee Jae-Yong guida la multinazionale dal 2014. Ed è proprio sul passaggio di consegne che si concentra l’attenzione degli inquirenti: la tangente avrebbe facilitato la successione familiare.

L’inchiesta, in cui sono finite anche altre aziende come Hyundai e LG, è parallela a quella aperta contro Choi per abuso di potere, ricatto e tentativo di truffa e procede di pari passo al processo presso la Corte Costituzionale sulla destituzione della presidente.