Domenica sera, in Turchia, lo stato d’animo dei curdi di Diyarbakir oscillava tra speranza e rabbia: quest’ultima sfociata nei disordini seguiti
Domenica sera, in Turchia, lo stato d’animo dei curdi di Diyarbakir oscillava tra speranza e rabbia: quest’ultima sfociata nei disordini seguiti all’annuncio dei risultati elettorali. A qualche giorno dal voto, invece, è l’incomprensione a prevalere nel sud-est curdo del Paese, dove il ridimensionamento dell’HDP viene vissuto come uno choc.
Il Partito democratico del Popolo, che era arrivato terzo alle precedenti elezioni di giugno, ha evitato il peggio, superando la soglia di sbarramento del 10 per cento. Entrerà dunque in Parlamento, ma, con i due punti percentuali che ha perso per strada, sfumano anche le speranze della comunità curda di influire sulle scelte del governo.
D’altra parte, i numeri non mentono. Anche tra i curdi di Diyarbakir, alcuni hanno necessariamente votato per l’AKP del presidente Erdogan, percepito dai più conservatori come il miglior garante della stabilità conquistata negli ultimi anni. Una stabilità che è sembrata disintegrarsi da due mesi a questa parte, sotto la pressione delle armi: da un lato, la doppia offensiva lanciata dal governo contro gli jihadisti dell’Isil e contro i combattenti curdi; dall’altro, la ripresa degli scontri con il PKK, che allontana ogni prospettiva di pace e di sviluppo nel sud-est del Paese.
Secondo Eyup Burc, direttore dell’emittente IMC TV, “l’AKP è riuscito a servirsi di questo clima di violenza contro l’HDP: ha convinto gli elettori a rimpiangere la loro scelta precedente e ad attirarli dalla sua parte, promettendo loro di riportare la pace”.
Un peso rilevante l’ha avuto anche il ritorno del terrorismo: prima l’attentato di luglio a Suruc, vicino al confine siriano. Poi, il mese scorso, le esplosioni che hanno fatto un centinaio di vittime ad Ankara, durante una manifestazione pacifista convocata dall’HDP e da altri partiti di sinistra.
Un quadro che pare aver favorito le ambizioni elettorali di Erdogan, ma che mette ora il presidente in una posizione difficile, come afferma Andrea Gross, capo della delegazione di osservatori del Consiglio d’Europa: “Dovrà unire nuovamente ciò che è stato diviso negli ultimi cinque mesi. Gli chiediamo di dare prova di responsabilità e di abbandonare i toni militanti che ha utilizzato negli ultimi mesi di campagna elettorale”.
Solo il tempo dirà se si prepara un’escalation militare o se, al contrario, riprenderanno i negoziati di pace con il PKK. Nell’attesa, a Diyarbakir e nel sud-est della Turchia, si apre una nuova fase di incertezza.