Deflazione, lo spettro che si aggira per l'Europa

Deflazione, lo spettro che si aggira per l'Europa
Di Euronews
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Questa settimana Real Economy è a Francoforte, presso la Banca centrale europea, per dare un’occhiata ai timori di deflazione che circondano l’Europa e verificare se la bassa inflazione stia diventando una “profezia autorealizzante”.

La spirale deflattiva è nella mente dei consumatori

La Bulgaria, lo Stato membro più povero dell’Unione europea, ha registrato un tasso di inflazione negativo negli ultimi 12 mesi. I prezzi, se non stanno calando, di certo non salgono.

A prima vista sembra un paradiso degli acquisti. Ma le persone non stanno spendendo e ci sono tante conseguenze indesiderate.

Il fatto che le cose siano meno care significa anche che le imprese hanno un giro di affari più ristretto, pagando così allo Stato minori entrate, e col tempo anche impieghi e stipendi vengono tagliati. Anche se i beni sono meno cari, chi può permetterseli?

“È la prima volta che succede nella storia della Bulgaria”, spiega Jordan Mateev, direttore esecutivo dell’Associazione per il commercio bulgara. “Abbiamo conosciuto l’iperinflazione, abbiamo osservato un’alta inflazione, abbiamo sperimentato prezzi stabili, ma non abbiamo mai visto la deflazione. E forse è per questo che la gente non reagisce”.

È importante determinare che cosa provoca la deflazione per capire se darà vita ad una spirale deflattiva, la quale sarebbe particolarmente funesta per le famiglie e per gli Stati pesantemente indebitati.

“Per la maggior parte è una deflazione provocata dai prezzi regolamentati dell’elettricità, che il governo ha abbandonato l’anno scorso, e questa causando deflazione attraverso l’intera economia”, spiega Nikolay Stoyanov, redattore economico del giornale bulgaro Kapital.

Plamen Toutounarov, proprietario di un negozio, nota che abbassare il prezzo di poco non spinge i clienti a spendere di più.

Succede, però, che i distributori suggeriscano tale strategia, con il risultato di un’ulteriore contrazione delle entrate. “Prendete questa Coca cola, il nuovo prezzo è di 1,69 lev, circa 80 centesimi di euro”, racconta.

“Il latte normale adesso viene venduto in una confezione più grande, una decisione dei produttori per distribuire più prodotto per essere competitivi sul mercato”, aggiunge.

“Ho personalmente ridotto il prezzo per accrescere le vendite di alcuni prodotti. Ma non ha avuto molto successo. Perché la mentalità dei bulgari è che se è economico, deve avere qualche problema. Dev’essere scaduto o contraffatto”, conclude.

Bruxelles come Tokyo?

Gli europei stanno imparando a loro spese che l’inflazione può essere negativa non solo quando è troppo alta, ma anche quando è troppo bassa. Specialmente se il rischio deflazione forma un cocktail esplosivo con disoccupazione record, debito pubblico, e un euro troppo forte.

“Un’inflazione moderata, il 4% o il 5%, è un segnale che l’economia cresce. Spesso si ha deflazione quando non c‘è crescita stabile a lungo termine”, spiega Mariana Mazzucato, professoressa di economia all’Università del Sussex. “La deflazione rimarrà un pericolo fino a quando avremo governi che si comportano come aziende, troppo pro-ciclici”.

Il trend al ribasso dei prezzi in molti Paesi soffoca la domanda interna e la voglia di investire.

Per migliorare la competitività, bisogna intervenire sui salari, altrimenti, persino con prezzi in calo, il potere di acquisto diminuirà e il valore reale dei debiti da pagare crescerà in modo proporzionale.

Ma davvero non ci sono altri margini di manovra per contrastare il rischio della deflazione, anche nelle economie più forti? Secondo alcuni studiosi, ci sarebbe spazio per politiche diverse.

“Il nostro sondaggio mostra che i tedeschi, che sono storicamente, in teoria, i più timorosi dell’inflazione, i più preoccupati, dato che sono stati “scottati” dall’iperinflazione degli anni venti, sono in effetti i meno preoccupati dell’inflazione, rispetto agli altri Paesi europei monitorati”, spiega Bruce Stokes del Pew Research Center. “Il che suggerisce che ci dovrebbe essere maggiore spazio di manovra sulla politica monetaria”, conclude.

Molti temono, per l’Europa, uno scenario simile a quello del Giappone, che soltanto adesso sta emergendo da un ventennio di sviluppo economico bloccato.

“Ci sono molti punti in comune”, commenta William Saito, consulente del governo giapponese. “Uno dei problemi per i quali il Giappone ha sofferto negli anni è che è uno degli ultimi Paesi al mondo che ha una popolazione in contrazione e, allo stesso tempo, che invecchia. In un caso del genere, alcuni presupposti macroeconomici si ribaltano. Le persone anziane vogliono maggiori ritorni per il proprio reddito fisso. Per cui, nel bene e nel male, dal punto di vista di un’anziano, la deflazione è una buona cosa”.

Per evitare tale genere di scenario, allora, sarebbe necessario tenere conto non solo delle necessità della popolazione anziana prevalente, ma anche delle future generazioni.

La posizione della Bce

Euronews ha incontrato il capo economista e membro del comitato esecutivo della Bce Peter Praet di come la banca vede il fenomeno della deflazione e che cosa intende fare riguardo alla bassa inflazione.

“La domanda è debole perché molte famiglie, aziende e Stati hanno grossi debiti, per cui riducono la spesa a fronte di una certa capacità produttiva dell’economia”, spiega Praet. “Per cui, si osservano delle pressioni sul sistema dei prezzi che sono più al ribasso. Il che è un po’ il nuovo quadro in cui ci troviamo. La situazione che affrontiamo, il contesto che vediamo è quello di un tipo di pressione più strutturale sui prezzi, che è il risultato di un rallentamento nell’economia. E, per questo, abbiamo adottato una politica monetaria accomodante. La politica monetaria sono i tassi di interesse vicini allo zero, ma anche altri strumenti che abbiamo utilizzato.

Maithreyi Seetharaman, Euronews: “Quali sono, esattamente, le misure che la Bce intende mettere in atto?”

Peter Praet: Abbiamo margine di manovra sui tassi, come sa. I tassi d’interesse rimarranno bassi. Non solo oggi. I tassi a lungo termine sono cresciuti negli Stati Uniti perché la situazione, là, sta migliorando. Ma noi siamo stati capaci, contrariamente al passato, di disaccoppiare i nostri tassi da quelli degli Stati Uniti. La politica monetaria, cioè, è rimasta accomodante. Nello specifico, uno dei problemi che abbiamo individuato è la trasmissione della politica monetaria, tramite il credito, alle piccole imprese. E quindi è vero che, da tale punto di vista, si aprono una serie di possibilità”.

Maithreyi Seetharaman, Euronews: “Si è fatto un gran parlare di tassi negativi. Siamo di fronte ad una situazione in cui il credito rallenterà ancora di più?”

Peter Praet: “Davvero il credito è troppo debole a causa di un quadro economico sul quale non si può intervenire granché, oppure è a causa di una specifica disponibilità di prestiti da parte del settore bancario? Beh, ci stiamo lavorando. Ma abbiamo compreso che i canali di prestito sono un qualcosa che solleva diversi problemi riguardo al tema della trasmissione”.

Maithreyi Seetharaman, Euronews: “Ora dovremo aspettarci bassa inflazione per il medio-lungo termine?”

Peter Praet: “La più grande sfida che affrontiamo oggi è quella di ricreare un’aspettativa positiva da parte delle persone nel futuro e non è quello che vediamo oggi in molti Paesi. Ne stiamo vedendo, come ho detto, alcuni degli aspetti. In pratica, si tratta di ricreare condizioni economiche favorevoli, in modo che le imprese che decidono di investire non abbiamo vincoli creditizi”.

Maithreyi Seetharaman, Euronews: “Lei vede le somiglianze di cui molti parlano tra il Giappone e l’Europa di oggi?”

Peter Praet: “Credo che una delle più grandi differenze con la situazione giapponese sia che adesso stiamo affrontando in maniera risoluta il tema del settore bancario. Inoltre, in termini di politica monetaria, la reazione è stata molto decisa fin dall’inizio della crisi, il che non è stato sempre il caso nel Giappone degli anni passati”.

Maithreyi Seetharaman, Euronews: “Pensa che il mandato della Bce a volte vi impedisca di fare più di quello che fate oggi?”

Peter Praet: “No, non direi. Abbiamo attraversato la crisi della zona euro con istituzioni per la gestione dei rischi che erano molto deboli. Negli Stati Uniti non è andata così e inoltre il loro mercato del lavoro era, in generale, molto più flessibile. Ora stiamo cominciando ad uscirne, ma molti danni sono stati fatti. C‘è un forte rallentamento nell’economia, ci sono pressioni sui prezzi. È vero che non siamo in deflazione. Ma siamo in una sorta di situazione con crescita lenta e bassa inflazione e non siamo soddisfatti di questo. Abbiamo detto molto chiaramente che volevamo affrontare tale problema e stiamo rispondendo entro il limiti del mandato”.

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