Venti di primavera in Bosnia

Venti di primavera in Bosnia
Di Hans von der Brelie
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La facciata della sede del governo regionale di Tuzla è annerito. Sotto queste finestre sfila una nuova marcia di protesta. Una delle tante che attraversano la Bosnia-Erzegovina in questi ultimi giorni. Siamo di fronte a una nuova “primavera”? Il movimento è partito proprio da qui, dove cittadini della classe media hanno marciato insieme a studenti di sinistra e disoccupati.

Le proteste contro la disoccupazione e la corruzione hanno fatto cadere già quattro dei dieci governi regionali. Ma qual è l’origine del disagio nel paese?

“Una corruzione diffusa anche nelle privatizzazioni sottolinea Damir Arsenijevic, leader del movimento – I partiti politici controllano la magistratura, controllano la polizia che diffonde il terrore nella vita di tutti i giorni. E questa è la cosa peggiore. I politici e le elite locali si sono arricchiti rubando soldi alla gente”.

“Ci hanno mentito e oppresso per vent’ anni – precisa Emin Eminagic, manifestante – La gente ha fame, la gente sta morendo di fame. Se non cambiano le cose qui non abbiamo prospettive di lavoro e nemmeno un futuro”.

Ai primi di febbraio, sono stati dati alle fiamme gli edifici governativi a Sarajevo, Zenica e Tuzla. La piú grave esplosione di violenza nel paese dalla fine della guerra del 1995.

Dopo i duri scontri la protesta continua. In tutto il paese la gente scende per le strade ma ora manifesta pacificamente.

Tuzla è il capoluogo del cantone che porta il medesimo nome.

Come ci confermano dalla sede locale per l’impiego sono almeno 100.000 le persone in cerca di lavoro.
Un numero che supera le 80.000 attualmente impiegate.

In Bosnia la popolazione conta meno di quattro milioni di persone, di cui tra il 25 a 45% è senza contratto di lavoro dipendente.

Aldin dopo aver ricevuto minacce ha chiesto asilo politico all’estero. Decine di ministri hanno perso il proprio posto in seguito alle sue denunce sul sistema di tangenti legate al lavoro.

“Al Ministero della funzione sociale – racconta Aldin Siranovic, attivista di Tuzla – hanno detto mia moglie: “Se vuole lavorare nel settore sanitario deve pagare 25.000 marchi bosniaci (circa 13.000 euro) al direttore di questo ufficio”.
Io invece avevo trovato lavoro alla Telekom bosniaca. Un impiego regolare con tanto di concorso. Dopo tre mesi mi chiama il mio superiore e mi dice: “Guarda che non hai ancora pagato i 25.000 marchi bosniaci. E prosegue: “Se non paghi verrai licenziato e chiameremo mio cugino a rimpiazzarti”.

Un’altra conseguenza della corruzione: si stima che ogni anno la Bosnia perda 800 milioni di euro in appalti pubblici manipolati. Nelle casse dello Stato manca il denaro mentre la spesa pubblica arriva a cifre vertiginose.

Emir Dikic presiede il consiglio di amministrazione della filiale bosniaca dell’ ONG “ Transparency International” che lotta contro la corruzione: “La riforma del sistema giudiziario è fallita. Il sistema giudiziario soffre ancora delle pressioni politiche e il paese è corrotto da sei o sette figure potenti. Sono i leader alla guida dei partiti politici”.

Questa zona era un sito industriale importante, con grandi fabbriche che contavano quasi 3.000 lavoratori.
Tra questi Sakib Kopic, che ha lavorato per 33 anni nello stabilimento chimico di Tuzla. Oggi Sakib è tra i manifestanti che hanno fatto cadere il governo regionale e che denunciano una “privatizzazione di matrice mafiosa”.

“Arrivano degli acquirenti di un’azienda – racconta Sakib Kopic – che a prezzo stracciato acquistano dopo aver ottenuto diversi prestiti bancari. Distruggono la produzione e l’azienda chiude. È la mafia che ha inventato questo sorta di privatizzazione, e che poi si intasca il denaro. Son persone che dovrebbero essere inviate su un’isola e rinchiuse in un carcere a spaccare pietre con dei martelli di gomma”.

Lasciamo dietro di noi gli impianti chimici in rovina di Tuzla mentre ci avviciniamo a Zenica, centro principale della produzione di acciaio nel paese.

Anche qui la popolazione è riuscita a far cadere il governo cantonale. Nella zona stanno emergendo varie assemblee di cittadini denominate “plenum”, in cui si discute di una nuova possibile politica trasparente.
Aldin and Mustafa sono due studenti impegnati in questo nuovo movimento. A Zenica hanno organizzato un flash-mob contro l’inquinamento atmosferico provocato dall’industria dell’acciaio.

“La struttura statale – dice Aldin Alic – è troppo complessa: in Bosnia-Erzegovina ci sono 13 governi, oltre 130 ministeri, che significa oltre 130 ministri. Ai vertici ci sono poi ben 5 presidenti. Dei leader che dovrebbero guidare lo Stato e che non lo fanno”.
“L’Unione Europea e gli Stati Uniti – precisa Mustafa Bisic – dovrebbero aiutarci a promuovere il cambiamento!”

Spostiamoci a Sarajevo, capitale della Bosnia Erzegovina…
I lavori per riparare le sedi governative sono in corso. Qualche giorno fa i manifestanti le avevano attaccate, mettendole a fuoco. Ora la protesta prosegue ma in modo pacifico. Anche se in molti puntano il dito contro gli “accordi di Dayton”, che hanno messo fine alla guerra tra serbi ortodossi, croati cattolici e bosniaci musulmani ma che hanno creato un sistema incapace di traghettare il paese verso la transizione economica.

Una necessità di cambiamento che gli attori internazionali presenti nella regione sostengono.

“Mi rivolgo ai politici al potere – dice Valentin Inzko, Alto rappresentante in Bosnia – Non abbiate paura della popolazione. Ascoltate le richieste dei cittadini. Al tempo stesso lancio un appello alla magistratura. Non abbiate paura di fare il vostro lavoro”.

C‘è un futuro all’interno dell’Unione Europea per la Bosnia- Erzegovina? La mancata riforma della Costituzione ha congelato l’adesione soprattutto perché i politici locali si rifiutano di rispettare le condizioni proposte da Bruxelles.
Ma la speranza resta.

“È chiaro a tutti anche per come stiamo agendo – sottolinea Peter Sorensen, Rappresentante speciale dell’UE in Bosnia-Erzegovina – che la prospettiva europea resta un’opzione ancora possibile”.

Torniamo a Tuzla, dove tutti conoscono il marchio DITA, dal nome della fabbrica di detersivo che ora ha interrotto la produzione dopo essere stata privatizzata. Un’ azienda che potrebbe ancora funzionare perfettamente, sottolineano i lavoratori che fanno da sentinelle.

“La fabbrica è chiusa da un anno – dice Fehim Avdihodzic, lavoratore di DITA – ma potrebbe essere riaperta in poco tempo. Stiamo qui per evitare che vengano rimossi i macchinari. Facciamo 5 turni di guardia la notte. 4 di giorno”.

Per i lavoratori l’occupazione è l’unica scelta possibile. Raccontano che il proprietario della fabbrica non ha pagato loro i contributi previdenziali. Questo significa che ora non hanno diritto alla sanità pubblica, ai sussidi di disoccupazione e alla pensione.

“Al momento ci sono qui ancora 119 lavoratori – dice Dzevad Mehmedovic, leader sindacale di DITA – Hanno ricevuto l’ultimo stipendio nel gennaio del 2013”.

Incontriamo Frenkie, un rapper spesso in tournée all’estero. Durante la guerra la sua famiglia si è rifugiata in Germania. Ora Frenkie vive a Tuzla. Nei testi delle sue canzoni traspare l’amarezza.

“È da vent’anni che i politici ci raccontano sempre le stesse bugie – dice Adnan Hamidovic in arte Frenkie – basandosi sulla tecnica del nazionalismo. È la loro arma ed è la radice principale dei nostri problemi e dei nostri conflitti. Anche oggi!”

È troppo presto per definire la protesta in corso una “primavera bosniaca”. Ma senza un cambiamento il rischio di nuove tensioni diventa concreto, mentre da parte di Bruxelles l’invito ai politici resta pressante “evitare la corruzione” e mantenere fuori dai giochi la presunta “questione etnica”.

Il giornalista di Euronews Hans von der Brelie ha intervistato Valentin Inzko, Alto Rappresentante in Bosnia-Erzegovina. Per ascoltare l’intervista completa (in tedesco) utilizzare il seguente link.
Bonus Interview: Valentin Inzko, Hohen Repräsentanten in Bosnien-Herzegowina

Intervista (in inglese) a Peter Sorensen, capo della delegazione UE a Sarajevo e Rappresentante speciale dell’Unione Europea in Bosnia-Erzegovina.
Bonus interview: Peter Sorensen, Head of the EU Delegation in Sarajevo

Euronews ha incontrato a Sarajevo uno dei principali analisti politici della Bosnia-Erzegovina, Srecko Latal del think tank “Social Overview Service SOS”. Per ascoltare l’intervista completa (in inglese) utilizzare questo link.
Bonus interview: Srecko Latal, political analyst

Emir Dikic presiede il Consiglio di Amministrazione della filiale bosniaca dell’ONG “Transparency International”, impegnata nella lotta contro la corruzione. Euronews lo ha incontrato a Sarajevo (in inglese).
Bonus interview: Emir Dikic, ‘Transparency International’

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