Najib Mikati, premier libanese: Un dovere accogliere i rifugiati siriani, ma servono controlli

Najib Mikati, premier libanese: Un dovere accogliere i rifugiati siriani, ma servono controlli
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Di Euronews
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Il Libano ha subito in pieno l’impatto della guerra civile siriana: non solo dal punto di vista politico, ma anche economico e sociale, con una spaccatura che rischia di compromettere il fragile equilibrio tra le varie comunità. Di questo, abbiamo parlato con Najib Mikati, il dimissionario premier libanese che, dal 22 marzo scorso, gestisce gli affari correnti.

Daleen Hassan, euronews: “Najib Mikati, il Libano sta seguendo una strategia che consiste nel prendere le distanze dalla crisi siriana. Ma, in realtà, fin dove si è già spinto il contagio, a suo avviso?

Najib Mikati, premier dimissionario libanese: “Credo che la scelta di prendere le distanze sia la più appropriata per il governo e per la popolazione del Libano. Certamente, tutto ciò che accade nella regione, e in particolare in Siria, ha un impatto diretto e rilevante sul nostro paese. Ci sono legami molto forti tra il Libano e la Siria e non possiamo non prendere atto di questo stato di cose, così come della divisione in seno alla società libanese tra sostenitori e detrattori del governo di Damasco. Credo che anche il futuro governo libanese farà bene a mantenere questo atteggiamento di neutralità perché è il solo che possa proteggere il paese dalle conseguenze di ciò che sta accadendo nella regione”.

euronews: “In assenza di un nuovo governo, lei che è un primo ministro dimissionario come intende gestire le conseguenze della crisi siriana, in particolare l’aspetto dei rifugiati?”

Najib Mikati: “Si tratta prima di tutto di una crisi umanitaria e non politica. Oggi, un cittadino siriano che bussa alla nostra porta alla ricerca di un luogo sicuro va accolto come un fratello del popolo libanese. Ma il numero di rifugiati è altissimo. Sono circa 750mila i siriani che hanno ottenuto lo status di rifugiati. Ma ce ne sono altri che circolano tra la frontiera siriana e quella libanese: pensiamo che oltre trecentomila siriani non registrati come rifugiati siano attualmente nel nostro paese. E credo di poter dire che il governo libanese stia facendo il suo dovere nei confronti dei rifugiati siriani sul nostro territorio”.

euronews: “E che dire dei libanesi che sopportano le conseguenze della crisi siriana? Molti, qui a Beirut, lamentano che la presenza siriana ha esacerbato i problemi del Libano”.

Najib Mikati: “Quando in Libano imperversava la guerra civile, la Siria non ci ha chiuso la porta in faccia e oggi non intendiamo farlo nei confronti dei siriani. Ma spetta allo stato libanese gestire l’afflusso dei siriani affinché non avvenga in modo incontrollato. E spetta allo stato sorvegliare le frontiere. La conseguenza è che andranno riconsiderate le posizioni di quei siriani che non possono ambire allo status di rifugiati”.

euronews: “Ci sono stati benefici economici per il Libano dalla crisi siriana?”

Najib Mikati: “No, al contrario. Nel suo ultimo rapporto, la Banca mondiale ha affermato che il Libano è stato danneggiato dalla crisi in Siria, con ripercussioni dirette in termini di mancata crescita economica”.

euronews: “Eppure, a quanto dicono i banchieri, diversi siriani avrebbero depositato i loro capitali nelle banche libanesi. Non pensa che questo contribuisca all’economia del paese?”.

Najib Mikati: “Francamente, le banche devono stare molto attente in queste circostanze, specie se si parla di accettare depositi da parte siriana. Credo che le banche stiano facendo il loro dovere nell’esercitare un monitoraggio severo di questi nuovi conti correnti perché non vogliamo che questi depositi attirino i sospetti della comunità internazionale”.

euronews: “Ma si è parlato anche di alti esponenti del regime siriano che avrebbero portato i loro capitali in Libano, aggirando in tal modo le sanzioni imposte a Damasco. Come valuta queste affermazioni?”

Najib Mikati: “Le banche libanesi stanno controllando attentamente tutte le richieste di apertura di conti di deposito. In virtù di queste misure, non credo che i capitali arrivati dalla Siria siano così ingenti”.

euronews: “Di recente, Hezbollah ha ammesso di aver prestato aiuto al regime di Assad. D’altra parte, sappiamo che esiste anche un flusso di combattenti e di armi a sostegno dei ribelli e dell’Esercito libero siriano. Qual è la posizione del suo governo? Avete adottato delle misure per ostacolare il traffico di armi con la Siria?”

Najib Mikati: “Fin dal primo manifestarsi di questi comportamenti, abbiamo raccomandato alle varie fazioni libanesi di evitare ingerenze nel conflitto siriano perché non portano alcun beneficio al nostro paese. Il mio ruolo mi impone di pensare agli interessi del Libano e quindi voglio rilanciare questo appello: ognuno si tenga alla larga da queste faccende perché ogni presa di posizione sarebbe contraria ai nostri interessi”.

euronews: “L’Unione europea considera il braccio armato del partito Hezbollah come un’organizzazione terroristica. Che cosa ne pensa il suo governo?”

Najib Mikati: “Aspettiamo che l’Unione europea adotti delle misure. Di solito, dopo sei mesi il caso viene sottoposto a un riesame e il nostro governo chiederà all’Unione europea di riconsiderare la sua decisione”.

euronews: “Di recente, si è sentito dire che il regime siriano avrebbe trasferito nel sud del Libano parte del proprio arsenale chimico. Che cosa c‘è di vero in queste accuse?”

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Najib Mikati: “Posso garantire personalmente che sono false. Non ci è giunta alcuna informazione a questo riguardo e anche il segretario generale di Hezbollah le ha smentite”.

euronews: Se ci fosse un’azione militare contro la Siria, quali sarebbero le conseguenze per il governo libanese?

Najib Mikati: “Abbiamo sempre preso sul serio le implicazioni per il nostro paese di un eventuale attacco in Siria. Abbiamo adottato delle precauzioni e intrattenuto diversi contatti diplomatici, ma, per fortuna, sembra che l’attacco sia stato evitato. Ora si sta cercando una soluzione politica e il Libano ha sempre sostenuto che l’unica via d’uscita per il conflitto in corso in Siria sia di tipo politico”.

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