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La riforma del Patto di stabilità divide l'Unione europea

Il ministro dell'Economia spagnolo Nadia Calviño, nella foto al centro, parla con i suoi omologhi francese e tedesco: Bruno Le Maire (a sinistra) e Christian Lindner (a destra).
Il ministro dell'Economia spagnolo Nadia Calviño, nella foto al centro, parla con i suoi omologhi francese e tedesco: Bruno Le Maire (a sinistra) e Christian Lindner (a destra). Diritti d'autore European Union, 2023.
Diritti d'autore European Union, 2023.
Di Jorge Liboreiro
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Questo articolo è stato pubblicato originariamente in inglese

L'Unione Europea è chiamata a riformare le sue regole fiscali entro la fine dell'anno, ma non c'è accordo tra i Paesi su come modificare l'attuale Patto di stabilità e crescita

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Le regole risalgono alla fine degli anni '90, quando gli Stati membri che intendevano adottare l'euro dovevano mantenere il deficit di bilancio al di sotto del 3% del prodotto interno lordo (Pil) e il debito pubblico al di sotto del 60% rispetto al Pil.

Sono i cardini del Patto di stabilità e crescita, che si applica a tutti i Paesi dell'Ue nel tentativo di garantire una gestione sana e ordinata dei conti pubblici nazionali.

Il Patto è stato modificato per far fronte al crollo finanziario del 2007 e alla conseguente crisi del debito sovrano, che ha visto alcuni Paesi adottare dolorose misure di austerità per contenere l'aumento della spesa pubblica.

Nel 2023 e la necessità di una riforma diventa evidente, dopo le crisi economiche innescate dalla pandemia da Covid-19 e dalla guerra in Ucraina, con un aumento improvviso dei prezzi dell'energia e un'inflazione da record. 

La proposta di riforma

La Commissione europea ha proposto ad aprile una revisione delle regole, che mantiene inalterati gli obiettivi del 3% e del 60%, ma apporta importanti modifiche al modo in cui le due soglie dovrebbero essere raggiunte.

Ogni Stato membro dovrà elaborare un piano di bilancio a medio termine per ridurre i livelli di deficit a un ritmo credibile e portare il debito pubblico su un "plausibile percorso discendente", che dovrà essere negoziato dal singolo Stato con la Commissione europea e approvato dal Consiglio dell'Ue.

Gli aggiustamenti fiscali necessari a raggiungere - o almeno ad avvicinarsi - alle soglie del 3% e del 60% verrebbero effettuati in un periodo di quattro anni, in corrispondenza dei cicli elettorali, e potrebbero essere estesi a sette anni in cambio di ulteriori riforme e investimenti.

I ministri dell'Economia e delle Finanze hanno passato gli ultimi mesi a discutere sulle regole, spesso scontrandosi su elementi molto tecnici del Patto. 

Il governo della Spagna, attuale detentrice della presidenza di turno del Consiglio dell'Ue, ha suddiviso i colloqui in quattro "blocchi", che corrispondono ai quattro punti di attrito del Patto. La deadline, intanto, si avvicina: le regole fiscali del Patto di stabilità e crescita sono attualmente sospese e torneranno in vigore il primo gennaio 2024.

Salvaguardie per la riduzione del debito

Il ritmo di riduzione di debito e deficit è il primo problema. 

Paesi come Francia, Italia, Spagna, Portogallo e Grecia, che hanno un rapporto debito/Pil superiore alla soglia del 100%, vogliono la massima flessibilità possibile e sostengono che i piani a medio termine terrebbero conto delle loro caratteristiche nazionali e consentirebbero quindi di tracciare un percorso sostenibile verso i due obiettivi.

Ma un gruppo più numeroso di Paesi, tra cui Germania, Paesi Bassi, Austria, Danimarca e i tre Stati baltici, teme che si possa abusare del margine di manovra, cosa che porterebbe a una riduzione troppo lenta del debito e al conseguente indebolimento della credibilità delle regole di bilancio.

Il governo tedesco ha pubblicato un documento informale in cui si chiede una "salvaguardia comune" che costringa gli Stati membri con un rapporto debito/Pil superiore al 60% a ridurre i livelli di debito dello 0,5% o dell'1% all'anno, a seconda del loro punto di partenza.

Anche la Commissione ha proposto misure di salvaguardia, tra cui l'obbligo di ridurre i livelli di deficit dello 0,5% del Pil all'anno, fino a scendere sotto la soglia del 3%.

L'esecutivo, tuttavia, non ha introdotto una regola uniforme per tutti i Paesi, come aveva chiesto la Germania. Ha invece inserito un requisito dalla formulazione vaga, secondo cui il rapporto debito/Pil dovrebbe essere più basso alla fine dei piani di medio termine rispetto all'inizio.

La scelta non ha soddisfatto Christian Lindner, ministro delle Finanze tedesco, che da allora ha chiesto salvaguardie per garantire "parità di trattamento" tra i Paesi. Ma il suo omologo francese, Bruno Le Maire, ha respinto questa idea sostenendo che le norme automatiche sarebbero un "errore politico" e danneggerebbero la crescita economica e la produttività. Solo un compromesso franco-tedesco potrebbe sbloccare l'impasse.

Riforme e investimenti

Le ambizioni a lungo termine dell'Ue hanno un prezzo elevato. Solo per realizzare il Green Deal, l'Unione avrà bisogno di 620 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi ogni anno fino al 2030. Per la transizione ecologica saranno necessari 125 miliardi di euro all'anno, mentre la spesa per la difesa potrebbe richiedere fino a 75 miliardi di euro fino al 2025.

Ecco perché la questione delle riforme e, in particolare, degli investimenti è al centro della riforma delle regole fiscali. La Commissione sostiene che la sua proposta lascia spazio sufficiente agli Stati membri per iniettare fondi nelle principali priorità come l'energia pulita e i microchip avanzati e, dall'altro, mantenere la spesa pubblica a livelli "prudenti".

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Ma alcuni governi non sono convinti e stanno spingendo per introdurre la cosiddetta golden rule, che eliminerebbe alcuni investimenti dal computo del rapporto deficit/Pil e debito/Pil, escludendoli di fatto dalla sorveglianza fiscale.

L'Italia, il sostenitore più accanito dell'esenzione, ha suggerito di eslcudere i fondi per la ripresa del Pnrr e i progetti militari. "Gli investimenti e le spese legate alle priorità europee, compresa la difesa, sono obiettivi politici strategici che le nostre regole fiscali non possono ignorare", ha dichiarato Giancarlo Giorgetti, ministro italiano dell'Economia.

La coalizione guidata dalla Germania si oppone frontalmente a qualsiasi tipo di golden rule, perché a suo dire un'esenzione creerebbe un precedente per altre esenzioni in futuro, intaccando l'efficacia delle regole.

L'applicazione delle regole

Le attuali regole fiscali prevedono un meccanismo correttivo noto come procedura per deficit eccessivo, che scatta quando il rapporto deficit/Pil di un Paese supera la soglia del 3%. Nonostante il nome, può essere attivata anche quando il rapporto debito/Pil supera il tetto del 60% e non si riduce a un "ritmo soddisfacente".

Se un Paese, dopo essere stato sottoposto alla procedura, non prende provvedimenti sufficienti per correggere le sue iniziative finanziarie, può essere sanzionato con una multa fino allo 0,5% del proprio Pil.

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Il quadro fiscale dell'Ue è stato regolarmente criticato per la sua applicazione disomogenea e morbida, dato che i livelli di debito hanno superato la soglia del 100%, ma non sono mai state comminate multe.

La Commissione europea vuole ha proposto delle modifiche per accelerare la procedura per i disavanzi eccessivi, nel caso in cui un Paese si discosti dagli impegni assunti nel suo piano a medio termine. Per i Paesi altamente indebitati la procedura per deficit eccessivo scatterà di default. La riforma prevede anche multe ridotte che potrebbero avere maggiori possibilità di essere applicate e misure "reputazionali", come la possibilità portare i ministri nazionali davanti al Parlamento europeo.

Equilibrio istituzionale

L'ultimo punto di attrito è il meno sorprendente perché deriva da una lotta di potere tra Commissione e Consiglio dell'Ue.

Secondo l'attuale proposta, la Commissione fornirebbe orientamenti economici a ciascun Paese e negozierebbe il piano di medio termine, che dovrebbe definire il percorso per una progressiva riduzione dei livelli di deficit e di debito, accompagnata da riforme e investimenti.

Analogamente al metodo utilizzato per i fondi della ripresa post–pandemica, i piani fiscali verrebbero poi approvati dal Consiglio e la loro attuazione verrebbe eseguita da ciascun governo, sotto la supervisione della Commissione. L'esecutivo valuterebbe se gli impegni sono stati rispettati e, se necessario, proporrebbe misure correttive.

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Questo tipo di procedura ha sollevato il timore che l'esecutivo concentri troppo potere nell'intero processo e che, di conseguenza, gli Stati membri possano perderne. Le discussioni sono ora incentrate su come modificare la "distribuzione del potere".

"È bene avere un altro paio di occhi", ha detto un diplomatico di alto livello, che ha suggerito di coinvolgere nella procedura il Comitato fiscale europeo, un organo consultivo indipendente.

L'equilibrio istituzionale e l'applicazione delle norme sono comunque considerati il dossier su cui è più facile trovare consenso, mentre le salvaguardie e la golden rule rimangono le questioni più difficili da risolvere.

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