Migranti: la Germania dice no ai ricollocamenti a tutti i costi

Migranti: la Germania dice no ai ricollocamenti a tutti i costi
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Di Elena Cavallone
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Anche Berlino sembra non voler più forzare la mano sulla redistribuzione equa dei richiedenti asilo. L'Italia e la Grecia, intanto, continuano a farsi carico della crisi

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Sull'immigrazione la Germania fa un passo indietro. Da Sofia, dove giovedì si è tenuta la riunione dei ministri per gli affari interni e di giustizia, Thomas de Maiziere ha dichiarato che il suo paese non è disposto a imporre a tutti i costi il sistema di quote obbligatorie per il ricollocamento dei rifugiati negli altri paesi europei.

"Ci sono molte questioni che vanno affrontate insieme come un pacchetto - ha dichiarato alla stampa il ministro tedesco - ma è importante innanzitutto trovare un accordo su quelle su cui è facile fare compromessi. Per esempio, sulle procedure comuni, sulle condizioni dell'asilo, sulla definizione della famiglia e molto altro. Allo stesso tempo, non vogliamo perdere di vista il principio di equa distribuzione".

Finora la Germania è stata la principale sostenitrice del sistema di ricollocazione obbligatoria, mentre Polonia, Repubblica Ceca l'Ungheria hanno rifiutato di applicarlo sin dall'inizio, ossia dal 2015.

Ma dopo il fallimento della politica di accoglienza della cancelliera Merkel e la fragile coalizione del nuovo governo, anche Berlino preferisce mantenersi cauta sulla quesione migranti.

A sopportare il peso della crisi migratoria sono pero' i paesi d'entrata, come Italia e Grecia, i cui porti per mesi hanno visto approdare navi cariche di migranti salvati dalla morte certa in mare, mentre cercavano di attraversare il mediterraneo su imbarcazioni di fortuna. Sebbene gli accordi con Turchia e  Libia abbiano fatto scendere drasticamente il numero di arrivi, resta il problema della redistribuzione dei richiedenti asilo che si trovano nei centri di accoglienza. 

"È inaccettabile che alcuni si rifiutino di accogliere i rifugiati", ha affermato il commissario europeo all'immigrazione, Dimiris Avramopoulus. Questo è molto chiaro: tutti dobbiamo condividere in modo proporzionato le responsabilità e il peso di questa crisi".

Secondo le regole attuali europee, è il paese di primo ingresso che deve esaminare richieste di asilo dei migranti. Come conseguenza di questo principio, non solo Italia e Grecia hanno dovuto sopportare il peso della gestione della crisi migratoria, ma spesso si sono verificate vere e proprie fughe di migranti che, con ogni mezzo, speravano di oltrepassare la frontiera prima di essere registrati in quei territori. 

Il testo di revisione del regolamento di Dublino, approvato a novembre dal Parlamento europeo, dovrebbe smontare questo principio, sostituendolo con un meccanismo permanente e automatico di ricollocamento secondo un sistema di quote, a cui sono tenuti a partecipare obbligatoriamente tutti gli stati membri dell’Unione europea.

Ma la strada da fare è ancora lunga e tortuosa ora che la palla è passata in mano al Consiglio europeo, il quale dovrà dare la sua approvazione. Ad ostacolare la riforma sono proprio quei governi dell'est Europa che finora non hanno accolto nessun rifugiato e che hanno fatto della politica migratoria un cavallo di battaglia per guadagnare consensi tra l'opinione pubblica. 

I leader europei a dicembre hanno indicato giugno come la scadenza per pervenire alla modifica del regolamento, ma il rischio è che lo slittamento nel tempo di questa riforma porti ad un "annacquamento" della sua portata rivoluzionaria per ottenere il consenso di tutti gli Stati membri.

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