Sudan, rimpatriati i diplomatici statunitensi e sauditi. Continuano le evacuazioni

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Di Michela Morsa
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Ancora violenti combattimenti nel centro della capitale Khartoum e in Darfur. Migliaia i civili intrappolati in casa senza elettricità e acqua. Si teme una crisi umanitaria

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Le forze armate degli Stati Uniti hanno evacuato poco meno di un centinaio di cittadini dal Sudan. L'operazione, ha coinvolto sei aerei ed è stata condotta in **coordinamento con la forza paramilitare,**ha dichiarato nelle prime ore di domenica dall'Rsf. Ma un alto responsabile del Dipartimento di Stato, John Bass, ha respinto la ricostruzione, affermando che l'evacuazione è stata "condotta esclusivamente" dalle forze speciali Usa. 

Le evacuazioni dei cittadini stranieri erano iniziate già nella giornata di sabato con il rimpatrio di 157 cittadini dell'Arabia Saudita, partiti via terra da Port Sudan, dopo che entrambe le parti si erano dette disponibili a facilitare l'uscita di civili stranieri dal Paese. Nelle prossime ore dovrebbero proseguire le operazioni per via aerea per portare fuori dal Paese i cittadini britannici, francesi e cinesi. Anche Giappone, Corea del Sud e Giordania si sono adoperate per evacuare i rispettivi connazionali. 

Con l'aeroporto chiuso e i cieli insicuri, sono migliaia i cittadini stranieri - in particolare il personale delle ambasciate, gli operatori umanitari e gli studenti internazionali - rimasti intrappolati nel Paese. 

I Paesi occidentali potrebbero inviare aerei per i loro cittadini da Gibuti, ma l'esercito sudanese ha dichiarato che gli aeroporti di Khartoum e della città più grande del Darfur, Nyala, sono problematici e non è chiaro quando ciò sarà possibile.

Il conflitto tra i due generali, intanto, entra nella sua seconda settimana. Gli abitanti di Khartoum continuano a subire intensi combattimenti nel centro della città: i residenti vivono di fatto in una zona di guerra, poiché molti obiettivi, come il quartier generale militare dell'esercito e il palazzo presidenziale, sono vicini alle abitazioni. 

Almeno 413 persone sono state uccise e 3.550 ferite. Chi non ha subito direttamente il conflitto, vive comunque ore di terrore e difficoltà. Molti cittadini si sono barricati in casa, senza elettricità e acqua. Chi si avventura fuori lo fa solo per rifornirsi urgentemente di cibo o per lasciare la città. Qualsiasi rallentamento dei combattimenti potrebbe accelerare una disperata corsa alla fuga da parte di molti abitanti della capitale e delle città adiacenti. 

Il sindacato dei medici sudanesi ha dichiarato che più di due terzi degli ospedali nelle aree di conflitto sono fuori servizio, con 32 evacuati con la forza dai soldati o coinvolti nel fuoco incrociato.

L'associazione medica Medecins Sans Frontieres (MSF) ha lanciato un appello per un passaggio sicuro. "Abbiamo bisogno di porti d'ingresso dove poter portare personale specializzato in traumi e forniture mediche", ha dichiarato Abdalla Hussein, responsabile delle operazioni di Msf in Sudan.

Il rischio umanitario

Oltre a Khartoum, le notizie delle peggiori violenze provengono dal Darfur, la regione occidentale del Paese tristemente nota per il conflitto che dal 2003 al 2006 ha causato 300mila morti e 2,7 milioni di sfollati.  

Le Nazioni unite hanno reso noto che i saccheggiatori hanno preso almeno 10 veicoli del Programma alimentare mondiale e altri sei camion di cibo dopo aver invaso gli uffici e i magazzini dell'agenzia a Nyala, nel Darfur meridionale. 

La comunità internazionale teme una crisi umanitaria nel Paese. L'improvvisa situazione di guerra ha mandato all'aria i piani di ripristino di un governo civile e minaccia un conflitto più ampio che potrebbe coinvolgere potenze esterne, in un Paese già impoverito e problematico. 

Le Nazioni unite e gli Stati esteri hanno esortato i leader militari rivali, il presidente del Sudan Abdel Fattah al-Burhan e il suo vicepresidente Mohamed Hamdan Dagalo,a rispettare i cessate il fuoco dichiarati, finora per lo più ignorati, e ad aprire un passaggio sicuro per la fuga dei civili e per la fornitura degli aiuti più necessari.

Sabato al- Burhan ha detto che "dobbiamo tutti sederci come sudanesi e trovare la giusta via d'uscita per restituire speranza e vita", mentre Dagalo, detto Hemedti, ha dichiarato ad Al Arabiya Tv di non avere "problemi con il cessate il fuoco". "Loro (l'esercito regolare, ndr), non l'hanno rispettato. Se loro lo rispettano, lo faremo anche noi", ha detto. 

Non c'è ancora alcun segno che una delle due parti possa assicurarsi una vittoria rapida o sia pronta a dialogare. L'esercito dispone di potenza aerea, ma l'Rsf è ampiamente presente nelle aree urbane.

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