Fine dello status speciale fiscale per la Disney a Orlando, ma la battaglia tra il colosso dell'intrattenimento e il governatore Ron DeSantis è sulla legge "Don't say gay", che vieta di parlare di identità sessuale nelle scuole e che la Disney contesta apertamente
Al governatore non piace la Disney.
Dopo il Senato, anche la Camera: il Parlamento della Florida, giovedì, ha approvato il disegno di legge che cancella il "Reedy Creek Improvement District" e mette fine allo status speciale e ai privilegi fiscali della Walt Disney Company, uno dei massimi investitori dello Stato americano.
È una vittoria per il governatore repubblicano Ron DeSantis (44 anni, avi originari della provincia di Avellino), che ha ingaggiato una battaglia legale (e culturale) contro il colosso dell'intrattenimento: ma non in materia fiscale, bensì sulla legge, ribattezzata dai detrattori "Don't say gay" (Non dire gay), contro cui la Disney - il cui parco di Orlando si trova proprio in Florida - si è fermamente opposta.
La legge, voluta dal governatore DeSantis e firmata il 28 marzo scorso, proibisce di tenere lezioni sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere nelle scuole pubbliche, dall’asilo alle elementari.
Il provvedimento ha scatenato forti polemiche, per i timori di spaccature e, soprattutto, di emarginare ulteriormente la comunità LGBTQ.
La legge - ormai conosciuta come “Don't say gay” - entrerà in vigore dal prossimo 1° luglio.
La Disney ha criticato apertamente la legge e ha congelato le donazioni alla campagna elettorale del governatore, che punta al secondo mandato nelle elezioni del prossimo novembre.
Dal 1° giugno 2023, in ogni caso, Disney World non potrà più beneficiare delle esenzioni fiscali speciali.
Per DeSantis, l'attacco alla Disney è soltanto l'ultimo - in ordine di tempo - di una "guerra culturale" condotta sulle politiche che coinvolgono la razza, il genere e il Covid, battaglie che lo hanno reso uno dei politici repubblicani più popolari degli interi Stati Uniti e un probabile candidato presidenziale per il 2024.
La Walt Disney Company è una delle aziende private che offrono più lavoro in tutta la Florida, con circa 60.000 dipendenti nel 2021.
La creazione (nel 1967) del "Reedy Creek Improvement District" e il controllo diretto della stessa Disney su 27.000 acri (11.000 ettari) in Florida, è stato un elemento cruciale nei piani della società per costruire - negli anni '60 - il proprio mega-parco Disney World proprio ad Orlando, inaugurato poi il 1° ottobre 1971.
Boomerang fiscale: nuove tasse per i cittadini della Florida
La fine dell'autonomia fiscale (e non solo) della Disney potrebbe costare caro ai cittadini della Florida, quanto meno a quelle delle aree a ridosso dell'impero-Disney.
L'azienda, infatti, detiene "bond pubblici per circa un miliardo di dollari", che dovranno ora essere coperti dall'amministrazione locale e, dunque, verosimilmente, attraverso nuove tasse.
Inoltre, la Disney, in cambio dello "status speciale", finanziava servizi pubblici come la gestione dei parcheggi, le emergenze, la manutenzione delle strade e del verde, versando circa 164 milioni di dollari ogni anno.
E adesso, da dove arriveranno questi soldi?
Dovranno arrivare con nuove tasse per i residenti.
Secondo molti commentatori, è probabile che, in tempi rapidi, parta una serie di ricorsi e battaglie legali.
Se il governatore repubblicano Ron DeSantis vive il suo momento di gloria, per il Partito Democratico l'impatto fiscale - tra bond e servizi - produrrà tasse extra per "580 dollari per ognuno dei 1,7 milioni di residenti che vivono nelle due contee di Disney World: Orange e Osceola".