I talebani odiano le sportive: la storia di 5 cicliste afghane scappate in Italia

Le cicliste afghane in Italia
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Di Stefania De Michele
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Bici e libertà: 5 cicliste afghane hanno trovato accoglienza in Italia, grazie all'associazione Road to Equality

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Hanno pedalato sotto minacce di morte e insulti, hanno dovuto schivare le automobili che cercavano volutamente di investirle.
Nonostante i pantaloni lunghi e l'hijab sotto il casco, per le donne afghane andare in bici - ma più in generale fare sport - è proibito.

"Road to Equality", impegno per le sportive afghane

Cinque di loro - età media 20 anni - sono riuscite a lasciare l'Afghanistan e hanno trovato accoglienza in Italia grazie all'associazione "Road to Equality", presieduta da Alessandra Cappelotto, campionessa del mondo di ciclismo su strada nel 1997.

"È più complicato perché sono in gioco le vite delle persone e questo è molto più difficile che vincere una Coppa del Mondo" commenta Cappellotto.

Il 9 marzo scorso 56 donne pedalarono a Kabul per una manifestazione ciclistica, tutte a testa alta: dopo quell'evento, i talebani sono tornati a minacciare le sportive.

Le aggressioni dei talebani

"Quando andavamo in bicicletta, venivamo molestate, insultate. Alcune persone ci facevano la morale: 'Una ragazza non dovrebbe fare sport. Deve stare a casa" racconta Aisha, ed è un nome fittizio perché l'anonimato è una precauzione necessaria.

"Prima sono stata minacciata - aggiunge Talia - I talebani sono contro le ragazze che vanno in bicicletta. Così, quando sono arrivati, avevo molta paura che mi trovassero e mi uccidessero".

La vita in Italia per 5 cicliste afghane

Le ragazze, che sono riuscite a riparare in Italia, vogliono solo vivere e andare in bici.
La loro giornata è scandita da allenamenti, ricerca di sponsor per la loro attività, momenti conviviali.

Due sponsor italiani le hanno appena integrate nelle loro squadre.

Dice Valentino Villa, presidente del team Valcar: "In concreto, avranno sempre una macchina per i loro viaggi di allenamento. Le iscriveremo alle gare e un direttore sportivo le seguirà".

"Siamo essere umani, come gli uomini, e abbiamo sogni da realizzare" dicono le giovani afghane. Per ora, lontano da casa.

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