Die Tote Stadt: a Monaco, il thriller onirico ante litteram dell'opera tedesca

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Di Andrea Buring
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L'opera, che ha probabilmente ispirato "La donna che visse due volte" di Hitchcock, in scena all'Opera di Stato bavarese

Misteriosa, mistica, psico-drammatica: è Die Tote Stadt l'opera di Erich Wolfgang Korngold  che ha appena debuttato al teatro dell'Opera di Stato di Monaco di Baviera. 

Portata in scena per la prima volta nel 1920 - in contemporanea tra Amburgo e Colonia - la "Città morta" (questa in italiano la traduzione del titolo) ha probabilmente ispirato anche "La donna che visse due volte" di **Alfred Hitchcock. **E alle tinte del maestro del thriller hollywoodiano d'epoca, mescola un elemento onirico di impronta freudiana. 

Protagonista è Paul, un uomo che non riesce ad andare più avanti dopo aver perso la moglie Marie. Dopo essersi innamorata della sua sosia Marietta, l'uomo è diviso tra desiderio e senso di colpa

"Le stanze che, nella scenografia,  si dividono e si ricompongono riflettono anche un conflitto interiore" spiega il regista Nikolaus Bachler. "Penso che lo scenografo l'abbia traslato molto bene tutto. Si può anche immaginare una città in sé, uno spazio psicologico, uno spazio freudiano".

Korngold scrisse la partitura a soli 23 anni: ma proprio dalla sua relativa inesperienza, dalla sua non piena dimestichezza con i limiti delle corde vocali, secondo Bachler, nasce la grandezza dell'opera. "Tecnicamente parlando - spiega Bachler - è quasi impossibile quello che il tenore deve fare nel primo atto."

"Penso sia in parte a causa della giovane età di Korngold - gli fa eco il tenore Jonas Kaufmann - che non sapeva fin dove poteva spingersi. Tutto ciò che aveva in mente, tutti questi incredibili cambiamenti di armonia e ritmo, finì per costruire un folle labirinto di stili diversi che si intrecciano tra loro".

Dopo un viaggio da incubo nel profondo della sua mente, Paul uccide Marietta, ma soltanto in un sogno. "Riuscirà finalmente ad andare avanti", è portato a chiedersi lo spettatore. 

"Penso che questo sia un passaggio troppo bello per lasciarlo nell'ambiguità" dice il baritono Andrzej Filonczyk. "E anche Korngold, nella sua partitura, ha che il palco deve essere aperto fino alle ultime battute della musica. Deve rimanere alzato e mostrare il vuoto del palcoscenico".

Il vuoto, in cui nessuna domanda trova risposta e nessuna angoscia è davvero risolta.

Journalist • Andrea Buring

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