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A 5 anni dopo, la rivoluzione incompiuta dell'Egitto

A 5 anni dopo, la rivoluzione incompiuta dell'Egitto
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Di Cecilia Cacciotto
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In Egitto, il 25 gennaio è il giorno della rivoluzione: i bambini non vanno a scuola e banche e uffici sono chiusi. Il Paese commemora la rivoluzione

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In Egitto, il 25 gennaio è il giorno della rivoluzione: i bambini non vanno a scuola e banche e uffici sono chiusi.

Il Paese commemora la rivoluzione con cui, cinque anni fa, gli egiziani riuscirono a liberarsi di Hosni Mubarack.

Per questo anniversario tutte le manifestazioni sono state vietate e nelle ultime settimane diversi centri culturali al Cairo sono stati presi di mira dalle forze dell’ordine mentre decine e decine di abitazioni sono state perquisite.

Il regime è accusato dagli attivisti per i diritti umani di aver restaurato un clima di repressione, ma sono sempre meno coloro che osano sfidarlo apertamente:

“Non pensavo che saremmo arrivati mai a questo punto, se prima della rivoluzione avevamo l’1% di libertà, l’1% del potere economico oggi non è più così. Questo è dovuto al regime oggi al potere e non alla rivoluzione”.

Altra data Importante della transizione non riuscita, luglio 2013, quando il generale Al Sissi è eletto presidente dopo il colpo di Stato militare con cui è destituito Mohamed Morsi, esponente del movimento religioso dei Fratelli musulmani.

Quell’estate si scatena una forte repressione contro il movimento religioso, repressione che si estenderà ai movimenti laici e di sinistra.

Alla vigilia del quinto anniversario Al Sissi si è rivolto alla nazione:

“L’Egitto di oggi è molto diverso da quello di ieri, stiamo costruendo un Paese moderno e sviluppato che sostiene i valori della democrazia e della libertà”.

Secondo fonti della sicurezza, il numero di case perquisite sarebbe addirittura di cinquemila. Un dispiego di uomini e forze che tradisce un nervosismo non giustificato, per molti, visto che in Egitto sembra regnare la calma.

Nel setaccio dei controlli è finita anche questa casa editrice, la Merit.

Mohamed Hashem:

“Continueremo a fare la nostra parte, continueremo a sognare la libertà per la nostra gente e a combattere contro tutte le discriminazioni religiose e militari. Continueremo a dare voce al nostro credo, secondo il quale non serve oppressione, serve soffocare la libertà, qualsiasi bandiera o slogan si scandisca”.

Alla disillusione per una rivoluzione compiuta a metà si aggiunge una situazione economica tutt’altro che rosa: il costo della vita è aumentato, soprattutto quello dei beni alimentari e dell’elettricità.

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