La Spagna è tornata col segno più, ma gli esclusi dalla crescita rimangono tanti

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Di Euronews
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A pochi giorni dalle elezioni, tra la gente di Saragozza, capoluogo dell'Aragona, per constatare se si è accorta che c'è la ripresa.

La regione dell’Aragona è un po’ l’“Ohio” di Spagna. Vale a dire che è un po’ l’anemometro del vento che tira nella politica spagnola. Chi vince qui, normalmente vince le elezioni. E per le politiche che determineranno se sarà ancora Mariano Rajoy a occupare la Moncloa, il palazzo governativo di Madrid, si voterà il 20 dicembre.

Per questo siamo venuti qui a vedere se i numeri della crescita, prevista oltre il 3% nell’anno che si sta per concludere e lì attorno anche per il prossimo, si avvertono anche nella popolazione.

La famiglia come ammortizzatore sociale

Per esempio se che la crisi sia alle spalle, come afferma il governo, se n‘è accorta Charo Martin, pensionata che vive in un quartiere popolare di Saragozza, capoluogo della Regione. La sua pensione le basta appena per vivere, considerando che deve anche aiutare il figlio 36enne, informatico disoccupato. E non è la sola.

“Ho un’amica – racconta – che ha dovuto riprendere in casa la figlia, col marito di lei e i loro figli. Cinque persone in tutto. Fortunatamente la famiglia è ancora un’istituzione forte in Spagna, come credo in tutto il Mediterraneo. Abbiamo la solidarietà familiare”.

Un ammortizzatore sociale di ultima istanza, che si sta tramutando in uno status quo dal quale è complicato uscire. La generazione di Charo ha cominciato presto a lavorare e altrettanto ad avere figli. Oggi non è così.

“Sei senza lavoro – dice Charo – affidato agli ammortizzatori sociali. Giusto per sopravvivere. Ma il tempo passa. Mesi, a volte anni senza trovare un lavoro, una stabilità. Stabilità nella vita: una vita. È un percorso emozionalmente difficile. È per questo che dico che il sistema nel quale viviamo è inumano”.

Preoccupa anche il futuro del sistema pensionistico, già messo a dura prova. Gli anziani vedono, inoltre, aumentare le loro spese: medici privati per evitare le lunghe attese della sanità pubblica, apparecchi per l’udito, occhiali…e necessità di aiutare i figli.

“Le pensioni attuali vengono distrutte. E le future…non sappiamo come saranno. C‘è un sacco di propaganda sulle pensioni private. Ma se non c‘è lavoro, continuità di reddito, come si fa a pagarsi una pensione privata?” afferma ancora Charo.

Quarantenni senza occupazione

Pablo Lopez non ha qui una famiglia cui chiedere aiuto. Ha 41 anni ed è disoccupato da sei mesi. Riceve soltanto una piccola pensione per invalidità parziale. La sua routine quotidiana inizia negli uffici di Zaragoza Activa, dove prova a trovare un lavoro e a migliorare il suo curriculum.

Passa ore tra i siti di offerte di impiego. Afferma che ora c‘è un po’ più di movimento, ma è poca cosa. Una volta era facile trovare occupazione per quelli della sua età. Ora incontrano moltissime difficoltà, nonostante gli ultimi dati sul mercato del lavoro mostrino leggerissimi miglioramenti.

“Attualmente ci sono sussidi per chi assume persone tra i 20 e i 30 o 35 anni. Ma c‘è una fascia d’età, tra i 35 e i 45, nella quale c‘è già una certa esperienza, che è esclusa. I benefici successivi sono per chi assume degli over 45. Chi ha la mia età fa parte di un gruppo di esclusi, che ha esperienza ma non riceve il supporto che meriterebbe”.

Pablo ha lavorato in tanti settori. Per lui, trovare un lavoro, significherebbe tornare a una normalità quasi perduta. Una delle ultime abitudini rimastegli è un caffè al bar Yasmin, per rilassarsi.

“È qualcosa che impatta sul tuo reddito. Perché se stai cercando attivamente un lavoro, sia che il tuo reddito venga da sussidi di disoccupazione che da qualsiasi altra fonte tu possa avere, devi tagliare le spese. Devi coprire innanzitutto quelle essenziali: affitto, elettricità, acqua, cibo, vestiti…e ci sono altre cose che ti piacerebbe fare ma devi lasciar predere: dall’andare in palestra a un week end con gli amici. A volte addirittura bere un caffè. Anche stare in giro a cercare lavoro vuol dire spendere”.

Generazione a basse prospettive, tanti pensano alla fuga

Giovanissimi come Nacho Serrano, 20 anni, studente di giurisprudenza, condividono visioni poco incoraggianti sulle loro prospettive. La disoccupazione tra gli under 24 è al 53,2% secondo Eurostat. Per lui guadagnarsi il titolo di avvocato comporterebbe seguire, dopo la laurea, un master da 2.500 euro. E nemmeno questo gli assicurerebbe un’occupazione. Sta pensando di proseguire gli studi all’estero, visto che essere cittadino europeo gli garantisce il diritto di emigrare. Il timore di uno squallido futuro è uno spauracchio per tutti. Meglio pensare al presente. (32/36)

“Credo ci sia una visione pessimistica del futuro in generale, derivante dal fatto che in molti non hanno fiducia nel proprio futuro. Dicono: ‘sto bene adesso. Ho la mia casa, i miei genitori mi danno dei soldi. Sto prendendo la mia laurea. Se faccio un lavoretto ho più denaro…ma non vogliono domandarsi cosa accadrà dopo. E credo sia perché, se lo fai, non penserai a qualcosa di positivo”. (21/23)

Incontriamo altri studenti: Raul Losantos, che segue un master in ingegneria, Javier Royo, che ha terminato i suoi studi in storia e Alexandra Gomez, altra studentessa di legge. Tutti sostengono che le rpecedenti generazioni, i loro genitori in particolare, hanno avuto molte più opportunità. Emigrare è più di un’ipotesi.

“La differenza – dice Javier – è nella quantità di possibilità. Ci hanno almeno potuto provare. Non era sempre facile, ma avevano più margine. E gli stipendi erano differenti. Quando hanno cominciato a lavorare veniva dato loro uno stipendio che garantiva l’indipendenza, di pagare un affitto. Ora è impossibile”.

“Se dovessi fare un lavoro diverso da quello per cui ho studiato – afferma l’ingegnere Raul – andrebbe a scapito della mia formazione. Se non hai esperienza lavorativa nel tuo campo e non fai un lavoro che te la fornisca, stai perdendo la possibilità di lavorare un giorno nel tuo campo. Meglio andare all’estero per fare il lavoro per cui hai studiato, proseguendo la tua formazione e accrescendo la tua esperienza, che stare qui per imparare a sopravvivere”.

Ma Alexandra non vuole partire, a meno che non sia per sempre: “Dovendo scegliere, a meno che non mi diano un contratto a tempo indeterminato e abbia la certezza di rimanere lì, che è piuttosto difficile al momento, preferirei rimanere qui e racimolare soldi per proseguire la mia formazione. Perché studiare è molto dispendioso e, forse, una maggiore istruzione mi garantirebbe un contratto all’estero”.

Raul, però, riflette anche sul fatto che all’estero non è tutto in discesa: “Ho incontrato un belga in Erasmus, che studiava ingegneria e mi ha detto che gli spagnoli erano considerati…beh…come reietti, perché erano disposti a lavorare per la metà o per un quarto delle retribuzioni dei belgi. Quindi si va via per avere condizioni migliori che qui…ma non straordinarie”.

La generazione di spagnoli più istruita di sempre rischia di ripercorrere, in realtà, le orme dei nonni, che emigrarono in massa negli anni ’60 e ’70. Nella prima metà del 2015, in più di 50mila hanno lasciato il Paese. Un record.

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