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Swatch si scusa per la campagna accusata di razzismo in Cina: crollano le azioni

Una storia di Swatch in Malesia.
Una storia di Swatch in Malesia. Diritti d'autore  AP Photo
Diritti d'autore AP Photo
Di Euronews Business Agenzie: AP
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Swatch ritira una pubblicità giudicata offensiva in Cina e chiede scusa. Le vendite del brand svizzero calano e il titolo scivola in Borsa

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Un gesto che voleva sembrare ironico si è trasformato in un caso globale per Swatch. Il colosso svizzero degli orologi ha ritirato in tutta fretta una campagna pubblicitaria dopo la valanga di critiche arrivate soprattutto dalla Cina.

Nell’immagine, parte della collezione Swatch Essentials, un modello asiatico posa tirandosi i bordi delle palpebre: un gesto che, in molte culture, richiama stereotipi razzisti e che in Cina è stato percepito come offensivo.

Le scuse ufficiali

La risposta non si è fatta attendere: “Ci scusiamo sinceramente per qualsiasi disagio o malinteso che questo possa aver causato”, ha scritto Swatch su Instagram, aggiungendo di aver “immediatamente rimosso tutto il materiale correlato in tutto il mondo”.

Le scuse sono state diffuse anche su Weibo, in inglese e in cinese, a dimostrazione della sensibilità del marchio verso un mercato che resta centrale per le sue prospettive di crescita.

Il caso Swatch non è isolato. Negli ultimi anni, diversi brand globali hanno sperimentato quanto sia facile oltrepassare i limiti della sensibilità culturale in Cina, un mercato strategico ma attento a ogni rappresentazione della propria identità.

Dalle passerelle di lusso alle campagne di streetwear, gli errori di comunicazione hanno spesso generato conseguenze milionarie in termini di immagine e vendite.

Timeline: i casi più discussi in Cina

  • 2018 – Dolce & Gabbana Uno spot mostra una modella cinese che mangia pizza e spaghetti con le bacchette, tra risatine di sottofondo. L’accusa di stereotipi razzisti porta al boicottaggio del brand e alla cancellazione di una sfilata a Shanghai.

  • 2019 – Versace, Coach e Givenchy Le tre maison finiscono nel mirino per magliette che elencavano città come “Hong Kong” e “Macao” separate dalla Cina, suggerendo una mancanza di rispetto per la sovranità nazionale. Tutte le aziende hanno chiesto scusa.

  • 2021 – Dior Una foto di una modella asiatica con occhi scuri e trucco marcato viene percepita come una rappresentazione “occidentalizzata e degradante” della bellezza cinese. La polemica esplode sui social.

  • 2022 – Burberry L’esclusione del brand da un videogioco cinese e le critiche legate al cotone dello Xinjiang (tema politico sensibile) alimentano un boicottaggio mediatico.

  • 2023 – Gucci Un video promozionale raffigurante una modella asiatica in abiti considerati “troppo occidentali” per la festa del Capodanno lunare viene accolto con freddezza, riaprendo il dibattito su autenticità culturale e marketing globale.

  • 2024 – Swatch Il gesto delle palpebre nello spot Essentials scatena l’ultima ondata di accuse di razzismo e costringe il marchio a rimuovere l’intera campagna a livello mondiale.

Con i consumatori cinesi sempre più consapevoli e connessi, il confine tra creatività e offesa culturale si è fatto sottilissimo. Per i brand globali, la lezione è chiara: la sensibilità culturale non è più un dettaglio, ma una condizione necessaria per preservare reputazione e mercato.

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