Personale sanitario a Roma viene tamponato nell'ottobre scorso, quando l'Italia ha raggiunto il picco dei test molecolari effettuati
Personale sanitario a Roma viene tamponato nell'ottobre scorso, quando l'Italia ha raggiunto il picco dei test molecolari effettuati Diritti d'autore Cecilia Fabiano/LaPresse
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Perché in Italia calano i tamponi da due mesi (e nel resto d’Europa no)

Di Filippo Poltronieri
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Cittadini italiani in coda ad una farmacia per effettuare un tampone rapido che, se negativo, non verrà registrato da nessuna parte. Cittadini scomparsi dallo screening quotidiano nazionale. Ma nei prossimi giorni le cose dovrebbero cambiare.

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Ricordate quando i tamponi giornalieri erano oltre 200mila al giorno? Dagli inizi di dicembre alla fine delle festività il sistema di tracciamento in Italia ha registrato un clamoroso rallentamento, che si è tradotto in un dimezzamento dei test quotidiani. 

Tra pochi giorni, tuttavia, assisteremo con ogni probabilità a una nuova, esponenziale crescita dei casi testati. Uno screening più meticoloso per una rinnovata lotta alla pandemia? No, verranno semplicemente conteggiati migliaia di test rapidi antigenici che, finora, non erano considerati affidabili.

I tamponi rapidi rientrano nelle stime ufficiali degli altri principali paesi europei e questo contribuisce a spiegare l’unicità della flessione nella curva italiana dei test effettuati ogni settimana. 

Dopo il picco di 2 milioni raggiunto nella prima settimana di novembre, all’apice della seconda ondata, si è assistito a una costante diminuzione nel numero di tamponi comunicati dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS). Stando ai dati, i principali paesi europei hanno cercato di aumentare il controllo sulla circolazione del virus con l’avvicinarsi delle feste. Due milioni, ad esempio, erano anche i tamponi del Regno Unito nella prima settimana di novembre. Nei due mesi successivi, però, mentre Londra si spingeva fino a 2,8 milioni di test a settimana, in Italia ci si attestava, da più di un mese, ben al di sotto degli 1,5 milioni di campioni controllati.  

Tra Natale e l’Epifania, la media delle ultime due settimane è stata di 120mila tamponi al giorno, solo di poco superiore a quella di inizio ottobre, quando la seconda ondata era agli esordi.

Alcune giornate hanno poi registrato numeri ampiamente inferiori, come il 27 dicembre, quando sono stati effettuati solo 59mila test. Una cifra che si avvicina a quelle giornaliere di agosto, quando la pandemia sembrava un ricordo lontano.

Il servizio sanitario ha raggiunto "l'apice della capacità?", e non può fare di più?

I dati comparati, a livello regionale ed europeo, sono sempre da prendere con le pinze. 

Esistono, tra paese e paese, differenze nei sistemi di tracciamento e nel tipo di dati comunicati. Tuttavia, se nei giorni a cavallo tra 2020 e 2021 si riscontra una flessione fisiologica anche negli altri stati europei, il crollo italiano presenta numeri catastrofici. “La diminuzione è in parte spiegabile con il fatto che la percentuale di positivi era in calo rispetto ai livelli di metà novembre”, spiega Paolo Bonanni, prof. Ordinario di Igiene all’Università di Firenze. “Ogni positività genera altre ricerche, devi tamponare la persona infetta e i potenziali contatti. C’è poi il fatto che quando si raggiunge l’apice della capacità da parte del servizio è difficile mantenere il trend di crescita, anche per una questione di forza lavoro disponibile”.

La chiusura delle scuole, a detta di molti operatori uno dei bacini più ampi di utenza nelle rilevazioni quotidiane, e le sostituzioni natalizie dei medici di base con le guardie mediche, più restie nell’emettere le ricette per i molecolari, farebbero il resto. 

I dati degli ultimi dieci giorni sono però allarmanti e tracciano un virus nuovamente in espansione nello Stivale, con un +26,7% ai contagi, in aumento per la prima volta dopo sei settimane di calo.

"Il calo è dovuto a cosa si conteggia"

“Non è diminuita l’attività di screening, il calo è dovuto a cosa si conteggia”, spiega Alessio D’Amato, assessore alla Sanità del Lazio, una regione dove si è passati dai 30.644 molecolari del 7 novembre ai 9.759 del 4 gennaio. 

“Abbiamo cominciato presto con i tamponi antigienici rapidi che non vengono conteggiati nel resoconto quotidiano diffuso dall’ISS”, spiega. 

Che la disponibilità di un’alternativa ai molecolari e alle lunghe code ai drive-in sia stata una notizia ben accolta dai cittadini, lo si legge chiaramente nei dati. Dopo che Il 19 novembre la regione annunciava la possibilità di effettuare test rapidi in farmacia – all’apice delle prestazioni delle strutture sanitarie – la curva dei tamponi nel Lazio inizia una rapida discesa che la porta, prima del 25 dicembre, ad attestarsi sui 15mila giornalieri. Dove sono finite le altre 15mila persone? Probabilmente, in coda ad una farmacia, per effettuare un tampone rapido che, se negativo, non verrà registrato da nessuna parte. Cittadini scomparsi dallo screening quotidiano nazionale.

“Noi usiamo dei rapidi, non rapidissimi, quelli di nuova generazione. Ci vuole qualche ora per avere il risultato ma il test è affidabile quasi come il molecolare”, spiegano dall’Agenzia Regionale di Sanità (ARS) della Toscana

Anche i nostri non vengono conteggiati: prendiamo ad esempio il 31 dicembre, c’erano sì 11.353 test molecolari, pochi, ma ne abbiamo fatti altri 5.100 antigenici. Poi qua c’è stata una reale diminuzione della domanda, abbiamo passato tre settimane in zona rossa, una misura efficace che ha portato a un netto abbassamento dell’incidenza del virus”. 

Meno casi, meno tamponi insomma

Ma anche qui, molti di quelli fatti, non arrivano agli uffici dell’ISS. Attività di screening mirato, come quelle messe in campo dalla ARS con la campagna “Territori sicuri”, con una prima tappa a fine dicembre all’isola d’Elba, utilizzano tamponi antigenici i cui esiti resteranno sconosciuti al grande pubblico.

Chi fa un tampone rapido viene conteggiato solo se positivo, perché obbligato a un successivo molecolare di verifica. È facile immaginare quanto potrebbe calare il tasso di positività se entrassero nel computo tutti i negativi non comunicati. Lo conferma il caso della Francia che decideva di aggregare i rapidi al suo conteggio il 18 novembre, rappoppiando, nella settimana successiva, il numero di tamponi comunicati e dimezzando così il tasso di positività dal 13 al 6,5%.

È dunque ovvio che la questione del conteggio dei tamponi rapidi nel computo dei casi testati sia da giorni tra i temi di confronto tra governo e regioni.

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Includere i tamponi rapidi nel computo e abbassare il tasso di positività

Il Veneto (30mila rapidi al giorno, la metà di molecolari) e il Lazio (15/20mila rapidi al giorno, tra privati e farmacie) beneficerebbero molto, in termini di diminuzione del tasso di positività, dell’inserimento di questi test nel computo generale: un conto completamente alterato dal ricorso ai rapidi, che continua comunque a contribuire agli indicatori cruciali per l’assegnazione del colore alle regioni.

“Anche noi stiamo facendo ricorso ai rapidi che non vengono calcolati. Anche fosse consentito il problema sta in cosa dovremmo conteggiare”, fanno sapere dalla Asl di Brindisi in Puglia che, a partire da un istituto di Latiano, ha avviato un progetto di testing nelle scuole attraverso i tamponi a risposta veloce.

“Anche questi, migliaia di test, non verranno calcolati. C’è un problema di conteggio: dovremmo delegarlo alla strutture private, sulla base di cosa? Test venduti? Effettuati? La comunicazione come verrebbe certificata?”. Ancora in Puglia, all’ISS non sono comunicati i risultati dello screening effettuato all’aeroporto di Brindisi, dove si utilizza un tipo di test simile a quello somministrato nelle farmacie del Lazio. Neanche i dati di chi entra nel paese, dunque, finiscono nel conteggio che ogni giorno leggiamo sui quotidiani. 

Francesco Militello Mirto/LaPresse Francesco Militello Mirto
In attesa di tamponare i passeggeri di una nave al porto di Palermo il 15 dicembre 2020Francesco Militello Mirto/LaPresse Francesco Militello Mirto

Una nuova circolare del ministero della Salute apre parzialmente all’utilizzo dei tamponi antigenici rapidi per la definizione di caso di positività a Covid-19, l’indicatore utilizzato dall’ISS nei suoi bollettini quotidiani.

Nel farlo chiede equivocamente di prestare particolare attenzione all’affidabilità dei tamponi antigenici utilizzati. A giorni un’ulteriore circolare dovrebbe specificare i nuovi parametri ricalibrando il sistema di conteggio. La parificazione dei test provocherà un netto sbalzo nei numeri dei tamponi effettuati a livello nazionale e nel tasso di positività.

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È difficile capire cosa sia cambiato in questi mesi, se i tamponi non considerati siano diventati più efficienti o se la pressione delle regioni per includerli nel conteggio si sia fatta troppo forte. “Le circolari prevedevano che il gold standard fosse il tampone molecolare”, risponde il ministero. Direttive diverse da quelle che circolavano negli altri paesi. In Spagna, seppur con tutte le differenze tra le comunità autonome, o, ancora, in Francia come raccontato prima, questi test, rapidi e molecolari, sono equiparati ai fini del calcolo quotidiano. 

In Gran Bretagna da mesi c’è la possibilità di ricorrere a test rapidi fai da te, il cui risultato si registra sul sito del ministero. I tamponi rapidi, utilizzati per lo screening di massa nell’operazione Moonshot, secondo un’inchiesta del Guardian **avrebbero perso il 50% di positivi. **

**Accessibili e veloci, ma meno affidabili? **

Questa supposta inaffidabilità, variabile a seconda della tecnologia utilizzata, è una delle ragioni del mancato inserimento dei tamponi antigenici nei conteggi italiani. “In molto casi, con bassa carica virale, i rapidi non individuano la presenza del virus”, spiega l’epidemiologo Massimo Ciccozzi del Campus Biomedico.

Tuttavia la loro accessibilità, rapidità di risposta e crescente diffusione li ha resi strumenti fondamentali in una sorta di prescreening di massa e volontario. 

Occorre ricordare infatti come l’accesso ai tamponi antigenici, dove consentito, è molto più economico e permette un tracciamento immediato, rispetto ai molecolari, per i cui risultati si devono attendere molte ore in più. Resta da svelare l’arcano del perché si sia atteso così tanto per inserirli tra i dati che ogni giorno, verso le 17, ci informano sull’andamento della pandemia.

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