La "decarbonizzazione" della Polonia? È molto lontana

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Di Sophie Claudet
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La Polonia, uno dei paesi emergenti dell'UE, conferma la sua pericolosa dipendenza dal carbone, da cui dipende il 60% dell'energia e l'80% dell'elettricità del paese. Un'intera nazione ad un bivio: meglio il lavoro o la tutela di ambiente e salute? E poi, tanto, ci sono i "pozzi della povertà"...

In questa puntata di INSIDERS vi portiamo in Polonia, dove si è appena conclusa la conferenza annuale dell'ONU sul clima, denominata COP24.

Ma non parleremo dei risultati e dei fallimenti del summit.
Piuttosto, vogliamo segnalare la forza dell'industria del carbone in Polonia e la sua continua espansione proprio nel paese che ha ospitato la conferenza sul clima.
Abbastanza ironico, non trovate?

La Polonia è il più grande produttore di carbone in Europa.
Il carbone rappresenta il 60% della sua energia complessiva e genera l'80% dell'elettricità della Polonia.
L'inquinamento atmosferico dovuto principalmente alla combustione di carbone uccide 50.000 persone all'anno in un paese di 38 milioni.

La nostra giornalista Valerie Gauriat ha viaggiato nel cuore della Polonia - e della sua regione mineraria per eccellenza, la Slesia -, paese che si conferma pericolosamente dipendente dal carbone.

Eccolo, l'oro nero.

Ancora a poco, per il momento, servono gli appelli degli attivisti ecologisti che, proprio durante il summit COP24 a Katowice, hanno tentato di far sentire la propria voce. Ancora troppo debole, però.

La Polonia è un paese di fronte ad un bivio. tutelare l'ambiente e la salute oppure pensare esclusivamente al lavoro e a conservare le migliaia di posti di lavoro che l'industria mineraria polacca ancora garantisce?
Non è facile trovare una risposta.
Non è facile trovare le alternative.

I progetti per le energie rinnovabili ci sono, ma sembrano ancora troppo lontani dalle esigenze economiche del paese.
Dove la *riconversione" del carbone è già iniziata, con la chiusura di miniere non più redditizie, la crisi economica ha colpito duro, a causa della perdita di migliaia di posti di lavoro che la cosiddetta "green economy" non è riuscita a compensare numericamente.

E cosi, anche nelle zone più "carbonizzate" del paese - dove si trova, per esempio, la Piast, la miniera più grande d'Europa - si teme la fine di quello che viene definito "oro nero".

Il futuro della Polonia? Nero come il carbone, grigio le ciminiere in cielo.

Il progetto dell'Unione Europa - di cui la Polonia è uno dei paesi economicamente emergenti - di chiudere definitivamente ogni estrazione di carbone entro il 2050 viene vista con sospetto e preoccupazione e, del resto, sembra una prospettiva molto lontana per la Polonia.

Perchè tra gli stessi cittadini, soprattutto tra gli stessi minatori, esiste un grande senso di appartenenza e un grande orgoglio nel far parte della storia di questa zona e della storia del carbone polacco. E nemmeno i più giovani, pur interessati a combattere il Riscaldamento Globale, vogliono abbandonare del tutto la tradizione del carbone.

Qualche voce fuori dal coro c'è, naturalmente. Ma sono poche. A Imielin, cittadina che sorge vicino ad una miniera, i binari della ferrovia sono addirittura "precipitati" a causa dello sprofondamento del terreno. E i cittadini sono preoccupati.

La ferrovia sprofondata.

Ci sono crepe nei muri delle case, causate dalle vibrazioni dei lavori sotterranei. Vere e proprie scosse di terremoto, pari ad una magnitudo superiore ai 3 gradi della scala Richter.
L'associazione "Cittadini oltre il carbone" prova ad alzare la voce e a farsi valere, ma la lobby dell'industria mineraria è troppo forte.

Crepe su una abitazione a Imielin.

"Finchè ci sarà carbone, ci sarà speranza!", esclama Roman Janiscek, un ex minatore che ha perso il lavoro circa vent'anni fa, quando la miniera per la quale lavorava venne chiusa.
Da allora non ha pi`ù trovato uno straccio di lavoro, nè in Polonia nè in altri paesi dove è andato a cercar fortuna, senza trovarla.
Ora, Roman vive di espedienti e di lavori saltuari. Di fatto è tornato a fare il minatore.
Nei "pozzi della povertà".
Sono piccole miniere illegali, scavate a mano - possono essere profonde anche solo due metri, ma arrivare anche fino a 15 metri - e dove si può trovare estrarre carbone da rivendere di contrabbando ai vicini di casa.

Roman nell'angusto pozzo della povertà. Con il suo bottino.

Questi "pozzi della povertà" sono pericolosi, possono persino crollare.
Ma Roman non ha paura: "Proviamo a rinforzarli in modo che il nostro passaggio sia più sicuro, preghiamo Dio e tutto andrà bene".

Ora i "pozzi della povertà" sono severamente vietati.
"Il governo potrà anche chiudere tutti i pozzi, ma poi passerà la gente a riaprirli. Abbiamo bisogno del carbone!", esclama Roman.

Dopo aver "grattato" bene, Roman se ne torna a casa soddisfatto, con il suo bottino di carbone.
I primi sette bei pezzi neri hanno una dedica.
Sette, dice, come gli amici che lavoravano con lui in miniera e che là sono morti.

Domani è un altro giorno.
Ma sempre più lontano dalla "decarbonizzazione" tanto auspicata dall'Europa.

Journalist • Cristiano Tassinari

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