Yemen: la guerra dimenticata

Yemen: la guerra dimenticata
Di Mohammed Shaikhibrahim
Condividi questo articoloCommenti
Condividi questo articoloClose Button
Copia e incolla il codice embed del video qui sotto:Copy to clipboardCopied

Da oltre un anno e mezzo lo Yemen è devastato dalla guerra.

Da oltre un anno e mezzo lo Yemen è devastato dalla guerra. Una guerra che vede da un lato i Comitati di resistenza popolare e l’esercito regolare, dall’altro il movimento ribelle Ansar Allah – “Partigiani di Dio” -, conosciuto anche con il nome di Houthi, un gruppo zaidita – variante locale dell’islam sciita – appoggiato dalle forze fedeli all’ex presidente Ali Abdullah Saleh.

Le nostre telecamere hanno potuto filmare uno delle decine di fronti di questa guerra, nella provincia di Lahj, sotto il controllo dell’esercito. Il cui obiettivo è avanzare verso nord, verso la capitale Sanaa, controllata dagli Houthi.

Infuria la battaglia, nonostante la tregua in vigore dall’11 aprile.

Il comandante Mothana Ahmed, dell’esercito regolare, dichiara ai nostri microfoni: “Vogliamo rassicurare la popolazione in tutto lo Yemen: non ci arrenderemo, non cederemo un centimetro di terra, continueremo ad avanzare fino all’eliminazione dell’ultimo degli Houthi e delle forze fedeli ad Ali Abdullah Saleh”

La coalizione araba continua ad avere un ruolo di primo piano, da quando, il 25 marzo 2015, ha lanciato l’operazione “Tempesta decisiva” contro gli Huthi.

Uno dei più significativi successi di quest’operazione è stata la riconquista di Aden, città che occupa una posizione strategica, per via della sua vicinanza allo stretto di Bab al-Mandeb, punto di passaggio delle imbarcazioni internazionali.

La rilevanza di questa posizione è tale da aver spinto la coalizione araba a intensificare le operazioni militari aeree e terrestri per sottrarre la città ai ribelli.

Il governatore di Aden, Edros Al Zoubaydi, promette: “Siamo pronti a liberare tutte le città yemenite dagli Houthi, con tutti i mezzi a nostra disposizione, legali, pacifici o militari. Siamo pronti a liberare l’onore e la religione dagli Houthi, un gruppo che ha perso il consenso del popolo allontanandosi dalle tradizioni con il supporto esterno dell’Iran”.

Fra i due litiganti, ad approfittarne è Al Qaeda, che consolida la propria presenza nelle città nel sud del paese. Gli attentati prendono generalmente di mira soldati fedeli all’alleanza araba del presidente in carica Abed Rabbo Mansour Hadi, ma il gruppo resta indipendente, e pericolosissimo per entrambe le parti.

Sanaa è sotto controllo Houthi dal 21 settembre 2014. Un controllo totale.

Le decine di migliaia di combattenti di Ansar Allah sono riusciti a dominare l’intera capitale, occupando gli edifici governativi. È stata adottata una “dichiarazione costituzionale” che ha fatto del Comitato rivoluzionario supremo la più alta autorità alla guida del paese. A capo del Comitato rivoluzionario è Mohammed Ali al-Houthi. Cugino del leader del gruppo, Abdul-Malik al-Houthi, è a sua volta il leader di fatto dello Yemen. E, alle minacce degli avversari, ribatte: “Siamo pronti a combattere fino alla fine per l’indipendenza totale del nostro paese da ogni ingerenza esterna, per sconfiggere gli invasori della nostra terra. Chi sono le vittime? Sono i bambini, i figli dei popoli arabi e musulmani. Nel sud l’esercito appoggia gli stessi terroristi che sostiene di combattere”.

Nella capitale gli Houthi godono del sostegno delle numerose tribù che costituiscono il nucleo della società yemenita e di diversi capi militari unitisi al loro movimento. È così che Ansar Allah è diventato la forza dominante in Yemen, in particolare nel nord.

Mohammed Ali al-Houthi torna a precisare il suo punto di vista sull’ingerenza esterna: “Noi crediamo che l’Arabia Saudita non abbia deciso di partecipare alla guerra di testa sua, ma che le sia stato ordinato di svolgere il ruolo di leader in questa guerra. E crediamo che siano gli Stati Uniti a decidere. Sono loro che dirigono le operazioni militari, che scelgono gli obiettivi da bombardare e forniscono le coordinate”.

Dalla loro parte gli Houthi, il cui slogan è “Morte a Israele e all’America e maledetti siano gli ebrei”, hanno anche il sostegno dello Hezbollah libanese, come testimoniano diversi rapporti, e delle forze militari fedeli all’ex presidente Ali Abdullah Saleh, costretto a lasciare l’incarico nel 2012 dopo la rivoluzione yemenita, ma che continua a godere di un ampio seguito.

Un cittadino di Sanaa lamenta: “Basta distruzione. Perché la società yemenita si è divisa? Quali sono gli obiettivi? E dove andrà lo Yemen? Quest’aggressione ha completamente distrutto il paese. Finora non ne è uscito nulla di positivo. L’aggressione dell’Arabia Saudita contro di noi è ingiusta, e noi possiamo anche difenderci, ma la domanda resta la stessa: perché ci battiamo gli uni contro gli altri?”

Altra tappa obbligata nel nostro viaggio in Yemen, la città di Saada, nell’estremo nord del paese. È qui che è nato il movimento Houthi. Saada si trova oggi in prima linea, dopo aver già vissuto diverse guerre in passato. Guerre che hanno lasciato pesanti segni in ogni quartiere e in ogni strada.

Il nostro corrispondente Mohamed Shaikhibrahim commenta: “Saada occupa una posizione centrale in questo conflitto. Oltre a essere la roccaforte principale di Ansar Allah, è anche una delle città più vicine alla frontiera con l’Arabia Saudita, e per questa ragione uno dei luoghi più colpiti dai bombardamenti”.

Non c‘è da stupirsi se il livello di distruzione che ha subito la città nel corso di tutti questi conflitti, inclusi quelli precedenti contro l’ex presidente Saleh, abbia fatto crescere qui la popolarità degli Huthi.

Un residente non ha dubbi: “Lo Yemen ha uomini forti e diventerà un cimitero per gli invasori. Non li lasceremo avanzare di un passo all’interno dei confini yemeniti. Sono destinati alla sconfitta in questa guerra”.

Riyad dal canto suo accusa gli Houthi di violare la frontiera, bombardare le città di confine, e occupare postazioni militari saudite. Gli Houthi considerano queste azioni una forma di difesa delle frontiere yemenite contro i bombardamenti aerei sauditi sulle loro città.

Per le organizzazioni di difesa dei diritti umani, al di là delle vittime civili non ci sono innocenti in questo conflitto.

Rasha Mohamed, di Amnesty International, spiega perché: “Tutte le parti hanno commesso crimini di guerra: la coalizione, gli Houthi, e i gruppi anti-Houthi che combattono sul terreno. Abbiamo visitato tutti i governorati, e abbiamo documentato attacchi da parte di tutti i gruppi armati sul terreno ad Aden e a Taiz. Abbiamo dichiarato che a questo punto tutte le parti coinvolte nel conflitto hanno commesso crimini di guerra e questo deve essere condannato subito dalla comunità internazionale”.

Le armi, convenzionali e non

Al centro di ogni guerra ci sono le armi. E in Yemen di armi – bombe, mine, ordigni, esplosivi di ogni tipo – se ne trovano ovunque e sono usate da chiunque. Alcune sono vietate dagli accordi internazionali. Secondo i rapporti di diverse ong, tra cui Human Rights Watch e Amnesty International, bombe a grappolo sono state lanciate in zone residenziali, provocando la morte e il ferimento di centinaia di civili. Secondo questi rapporti, la quantità di bombe e missili che hanno colpito diverse regioni in Yemen non rispetta i principi di proporzionalità e di prevenzione.

“Gli esperti yemeniti si trovano in grande difficoltà nel gestire missili e ordigni, – dice Mohamed Shaikhibrahim -, in particolare le bombe a grappolo, che sono state lanciate a più riprese, ci segnalano le autorità locali. Gli artificieri non dispongono delle attrezzature necessarie per disinnescarli, a causa dell’embargo”.

Gli Houthi accusano l’Arabia Saudita e i paesi della coalizione di servirsi di diversi tipi di armi vietate contro i civili, nel silenzio complice della comunità internazionale, e chiedono che un’inchiesta indipendente verifichi i fatti.

Un combattente Houthi spiega: “Fra le bombe utilizzate ne troviamo alcune britanniche e francesi, ma la maggior parte proviene dagli Stati Uniti. Sullo Yemen, e più precisamente nella provincia di Marib, sono state usate bombe chimiche, al fosforo e a grappolo”.

Un gruppo di ribelli Houthi ha accompagnato la nostra troupe verso una delle montagne nei pressi della capitale Sanaa, affermando che questa regione è stata bersaglio di bombe ai neutroni, proibite a livello internazionale. Un’informazione che non trova in realtà alcun riscontro. Ma il colonnello Abdulilah Al Moayad cerca di convincerci: “Gli esperti ci hanno assicurato che si trattava di una bomba ai neutroni, perché ha provocato distruzioni colossali, le montagne si sono trasformate in pericolosi frammenti, lanciati contro i residenti dei villaggi vicini”.

I bombardamenti hanno distrutto le case intorno alla zona in un raggio di oltre due chilometri, facendo centinaia di vittime, secondo le nostre fonti al Ministero della sanità. Ma il tipo di distruzione non è compatibile con una bomba ai neutroni, un ordigno nucleare mai usato prima in combattimento. I rapporti pubblicati dalle forze della coalizione araba riferiscono che bersaglio dell’aviazione erano depositi di armi dei ribelli, nascosti a breve distanza dalle zone abitate. La potenza delle esplosioni che si sono succedute sarebbe dunque attribuibile alla grande quantità di munizioni, missili e ordigni ammassati dagli Houthi e dalle forze fedeli ad Ali Abdullah Saleh.

Fame e povertà alle stelle

Quel che è certo è che le conseguenze del conflitto sulla vita di tutti i giorni degli yemeniti sono terribili. Nella maggior parte delle città, soprattutto Sanaa, vengono a mancare tutti i generi di prima necessità.

“A causa dell’embargo non abbiamo più farina per il pane, mancano acqua e cibo -, dice un cittadino yemenita -. Hanno bloccato la frontiera principale, hanno chiuso il porto di Hodeida alle imbarcazioni delle organizzazioni umanitarie cariche di cibo e medicinali e hanno distrutto le centrali elettriche”.

In quello che già era considerato come uno dei paesi più poveri del mondo arabo, la guerra ha ulteriormente aggravato la situazione. Quasi 21 dei 26 milioni di cittadini yemeniti vivono sotto la soglia di povertà. Nove milioni soffrono la fame.

“Ci sono bambini che sono morti disidratati perché non siamo riusciti a trovare un cartone di latte, – ci racconta un altro testimone -. Giuro davanti a Dio che ho visto bambini morire di fame e donne avere aborti spontanei per mancanza di cibo. E non abbiamo neanche accesso alle cure mediche”.

A Sanaa vengono organizzate ogni settimana manifestazioni davanti agli uffici delle Nazioni Unite, per chiedere più aiuti e sollecitare la comunità internazionale a intervenire. Uno di loro alza il suo grido di dolore: “Che cosa ha fatto l’Onu per lo Yemen? Che cosa ha fatto per noi? Non è ancora riuscita a far togliere l’assedio sullo Yemen, non è stata in grado di fornirci viveri, medicinali e di aiutarci a vivere al sicuro. Come faremo?”

L’Onu, sotto accusa per lo scarso aiuto fornito, si giustifica con la mancanza di risorse, nelle parole del suo rappresentante locale Jamie McGoldrick: “Le restrizioni all’importazione di cibo, medicine e carburante provocano grosse difficoltà a noi operatori umanitari, ma anche alla popolazione. Abbiamo chiesto alla comunità internazionale 1,8 miliardi di dollari. Oggi, al quinto mese dell’anno, abbiamo ricevuto solo il 16 per cento dei fondi richiesti”.

La guerra in Yemen ha prodotto anche un numero colossale di sfollati. Secondo stime delle Nazioni Unite, sarebbero circa 2,8 milioni di persone ad aver perso la casa nei bombardamenti.

Molti non trovano altro rifugio che in tende rudimentali dove vivono in condizioni di estrema povertà, tanto che la soddisfazione di bisogni elementari diventa un lusso. Qui, ancora una volta, manca tutto: cibo, acqua potabile, medicinali, dice una sfollata: “Non abbiamo niente qui, non abbiamo vestiti, non abbiamo niente da mangiare, non abbiamo acqua, soffriamo moltissimo, ci nutriamo di rifiuti, ci ammaliamo e soffriamo la fame, e non possiamo nemmeno andare in ospedale. Non possiamo fare niente, se non chiedere l’aiuto di Dio”.

Condividi questo articoloCommenti

Notizie correlate

Pieter Wezeman: "Le armi in Yemen arrivano dall'Ue e dall'Iran"

Mohamed Shaikhibrahim: "Siamo stati ostaggio di uomini armati per molte ore"

Che cosa la Francia ha imparato dagli attentati del 2015