La guerra al terrorismo di Ankara

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L’attentato a Suruç, il 20 giugno scorso, contro questo gruppo di giovani che si appresta a partire per Kobane, in Siria, segna l’inizio delle

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L’attentato a Suruç, il 20 giugno scorso, contro questo gruppo di giovani che si appresta a partire per Kobane, in Siria,
segna l’inizio delle ostilità del governo turco contro i jiahadisti dell’Isil.
Ankara bombarda le postazioni dei fondamentalisti, per la prima volta dall’inizio delle ostilità. Ma non solo.

L’attacco prende di mira anche le basi delle milizie del Partito dei lavoratori curdi, il PKK che si sono ritirati nelle montagne del nord dell’Iraq, all’inizio della tregua, nel 2013 .
Ankara per entrambi gli interventi parla di guerra contro il terrorismo.

Il PKK intanto rivendica una serie di attacchi contro le forze dell’ordine turche e accusa il governo di aiutare il gruppo Stato islamico a detrimento dei curdi in Siria.

Sventolando sempre la bandiera della guerra al terrorismo, la Turchia concede agli americani l’uso della base aerea di Incirlik, nel sud della Turchia.

Per gli analisti, l’operazione antiterrorismo di Ankara ha un risvolto interno che mira a rinforzare il presidente Recep Tayid Erdogan in caso di elezioni anticipate. Quest’ultimo mira a recuperare il consenso dei nazionalisti e stigmatizza la tregua siglata con i separatisti curdi.

Recep Tayyip Erdogan: “C‘è una sacrosanta verità: non è possibile continuare un processo di normalizzazione con chi minaccia la nostra unità e la nostra fratellanza”.

Secondo alcuni osservatori, a preoccupare Ankara la possibilità che i curdi possano costituire uno stato curdo alle porte della Turchia.
Le milizie curde infatti controllano
circa la metà dei 900 chilometri siriani che confinano con la Turchia.

Non bisogna dimenticare le elezioni legislative turche di giugno che hanno visto il Partito dei curdi moderati diventare la quarta forza del Paese.

Un successo inatteso soprattutto per l’Akp di Erdogan, che non ha più la maggioranza assoluta in parlamento. Fatto che non gli consente di cambiare la Costituzione a favore di una repubblica presidenziale, cui aspira.

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