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Europa o Mosca: dalle urne di Ungheria e Serbia un segnale per Ue e Nato

Chiusura della campagna elettorale in Ungheria
Chiusura della campagna elettorale in Ungheria Diritti d'autore Petr David Josek/The Associated Press
Diritti d'autore Petr David Josek/The Associated Press
Di Giulia Avataneo
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Domenica si vota per i presidenti di Ungheria e Serbia, due Paesi considerati un avamposto della Russia nei Balcani. E dalle urne potrebbe arrivare un segnale nei confronti della politica di Putin, quella dell'Ue e la strategia della Nato

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Due Paesi accomunati dalla vicinanza alla Russia di Putin, seppure con sfumature diverse. Due appuntamenti elettorali, da un lato con un esito già scritto per la Serbia di Aleksandar Vučić, meno chiaro in Ungheria, con l'opposizione che ci crede e prova a negare il quarto mandato a Viktor Orbán. Questa domenica sarà decisiva per la politica dei Balcani, per l'Ue e la Nato. E potrà dare anche qualche segnale di gradimento nei confronti di Vladimir Putin.

Ultimi fuochi in Ungheria

Viktor Orbán ha concluso la campagna elettorale a Szekesfehervar, rivendicando la neutralità dell'Ungheria nel conflitto fra Russia e Ucraina. "Da questa guerra non abbiamo nulla da guadagnare, ma solo da perdere", ha ripetuto in questi giorni, agitando lo spauracchio di un aumento dei prezzi del gas in caso di sua sconfitta. Ma secondo molti ungheresi la neutralità del presidente è solo una facciata.

"Non so cosa accadrà se vincerà ancora Orbán - dice all'ANSA Eitan, ebreo di origini rumene e ungheresi. - ma temo che ci spingerà ancora di più tra le braccia di Putin".

L'invasione dell'Ucraina ha fatto irruzione nella campagna elettorale, monopolizzando il dibattito, così per molti il voto sarà anche un modo per esprimere consenso - o meno - sull'operato di Putin. "Sono sicura che Fidesz vincerà - dice una donna a proposito del partito di Orbán - Fondamentalmente perché la nostra gente è più preoccupata del prezzo del gas che di quello che sta succedendo intorno a noi e nel Paese vicino".

Un segnale per la Nato e l'Ue

Gli ultimi sondaggi danno il presidente in leggero vantaggio, di circa due punti percentuali. Un'ampia parte della popolazione, che a seconda dei sondaggi va dal mezzo milione a un terzo dei 9,7 milioni di elettori, si dichiara indecisa. Ed è possibile che siano proprio loro a fare la differenza.

Che una parte di popolazione abbia voglia di voltare pagina e accomuni la rielezione di Orbán a una vittoria di Putin è confermato dalla Z comparsa sui manifesti di Fidesz in tutta la città. Come descrive l'ANSA, il nuovo simbolo filo-russo, come una svastica, marchia i volti dei candidati del partito al governo, un promemoria in vista delle urne.

L'opposizione, per la prima volta da 12 anni unita a sostegno della figura del conservatore indipendente Peter Marki-Zay, inizia a credere nel risultato. Sei partiti di minoranza, di orientamento diverso, sono uniti in una coalizione a tratti improbabile che unisce socialisti, verdi, liberali e un ex partito di estrema destra, con il solo obiettivo di chiudere con il capitolo della democrazia illiberale di Orbán.

"Europa o Putin, c'è questo in gioco nelle elezioni", ha detto nel comizio di chiusura della sua campagna Marki-Zay.

"L'opposizione vincerà, anche se di misura", dice all'ANSA la vicesindaca di Budapest, Kata Tüttő. "Molte cose sono cambiate negli ultimi quattro anni: alle scorse elezioni, Fidesz non ha preso il 50%, il problema allora era stata la frammentazione dell'opposizione. Fidesz non ha più voti ora di quanti ne avesse quattro anni fa e noi ci presentiamo uniti".

Il referendum anti lgbt

Domenica gli ungheresi si esprimeranno anche sulla contestata legge voluta dal governo ungherese per la censura delle tematiche lgbt da contesti sensibili, come la scuola o la tv. La comunità omosessuale è tra i più strenui oppositori della politica di Orbán, che insieme con i provvedimenti che riducono l'indipendenza della magistratura nel Paese è già costata all'Ungheria l'apertura di una procedura d'infrazione da parte dell'Unione europea.

Le notti della Budapest ribelle sono la rappresentazione plastica delle contestazioni a Orban, scrive ancora l'ANSA. Studenti e insegnanti protestano davanti al Parlamento contro la demolizione del sistema scolastico operata dal governo in questi anni. Il conte István Széchenyi, fondatore dell'Accademia ungherese delle scienze, piange sulla tomba dove è sepolta l'istruzione magiara. "Abbiamo paghe da fame, la scuola nel suo complesso viene costantemente mortificata, il sistema - spiega Judit, insegnante alle elementari - vuole persone incapaci di elaborare un pensiero critico". La protesta va avanti da due settimane.

C'è anche timore per il corretto e trasparente svolgimento delle elezioni. L'Osce ha messo in campo una task force per il monitoraggio del voto che non ha precedenti in un Paese dell'Unione europea.

Qui Belgrado

Trecento chilometri più a sud c'è un'altra capitale che aspetta di conoscere l'esito delle urne. Belgrado vivrà domenica un election day in grande stile, con le urne aperte per presidenziali, parlamentari e amministrative.

Qui non sembra esserci storia. Secondo i sondaggi il Partito Socialista di Ivica Dačić e il Partito progressista guidato dal presidente nazionalista Aleksandar Vučić non avranno problemi a confermare l'attuale coalizione alla guida della Serbia.

E se Budapest ha scelto un'apparente neutralità nei confronti della Russia, accontentandosi di negare il passaggio di armamenti diretti in Ucraina, il governo serbo è l'unico in Europa a non aver aderito alle sanzioni decise da Bruxelles. Una decisione su cui pesa il timore di disordini in un Paese che ha sempre contato su Mosca per impedire il riconoscimento in seno alle organizzazioni internazionali del Kosovo, su cui Belgrado rivendica ancora la sovranità.

E la tensione cova ancora sotto la cenere, se si pensa che dopo anni in cui il Kosovo ha consentito alla minoranza serba di votare per le elezioni della madrepatria, domani le urne rimarranno chiuse. Il presidente del Kosovo Albin Kurti aveva concesso il voto nell'ufficio di collegamento serbo che si trova nella capitale kosovara, Pristina. Ma Belgrado ha rifiutato, considerandola un'approvazione de facto dello status indipendente della sua ex provincia.

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