La ricetta dell'Islanda per la parità di genere

La ricetta dell'Islanda per la parità di genere
Di Valérie Gauriat
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Un primato in fatto di uguaglianza di genere. L'Islanda ha lottato a lungo per questo diritto. Il parere di alcuni uomini e alcune donne per una società più giusta.

Parità di genere e nuovo femminismo: il caso dell’Islanda

E’ una domenica mattina di gennaio come tante, a Reykjavik, la capitale islandese. In questa chiesa evangelica Luterana, sono numerosi i fedeli che partecipano alla messa celebrata da una delle donne sacerdotee della più grande congregazione della città. Si prega, si canta.. in un clima di grande festa che vuole sottolineare anche il ruolo delle donne nell’istituzione religiosa.

Guðrún Karls Helgudóttir, la nostra donna-prete ci racconta questo: “Se vogliamo esprimere la nostra fede, dobbiamo farlo in modo che tutti possano sentirsi inclusi: Dio non è come una donna o un uomo, una madre o un padre. Ho iniziato a parlarci come un’entità. Ma penso che sia importante parlare di Dio anche come lei e lui, non solo in termini maschili come facciamo nella chiesa islandese. Io quando posso ne parlo al femminile. Quello che vorrei cambiare è il ruolo delle donne nel parlamento e nel corpo direttivo della chiesa: siamo solo il 20% di donne in questi settori. Qui però si decide tutto, qui è dove c‘è il potere.”

Il giorno dopo il nostro incontro, la nostra donna-prete incontra il vescovo della chiesa evangelica, anche lei donna, per portare la testimonianza di 64 donne, vittime di molestie o violenza sessuale, che hanno aderito al movimento MeToo.

Agnes M. Sigurðardóttir, biskup ætlar ekki að tjá sig um launahækkuninahttps://t.co/q2dnDcHn7Fpic.twitter.com/9qpOreF51y

— Nútíminn (@nutiminn) December 20, 2017

Attivismo femminile in Islanda

Il paese, da 9 anni, è in testa alla classifica del World Economic Forum per la parità tra uomo e donna. A gennaio è entrata in vigore una legge che impone alle società private e pubbliche con più di 25 dipendenti, la parità salariale. Chi si rifuta paga multe altissime. Un primato mondiale in termini di parità.. come ci racconta anche Thorarinn Aevarsson, Amministratore Delegato della filiale islandese IKEA.

Sono passati cinque anni da quando è entrata in vigore la legge, che riguarda non solo la parità di genere, ma anche le discriminazioni legate a etnia, età, orientamento sessuale e disabilità. In questa super nota azienda, metà della forza lavoro, sono donne. Marketing, finanza, settore vendite, acquisti, logistica: la maggior parte delle posizioni dirigenziali state date a donne. Anche giovani.

“Ho iniziato nel 2007, in part-time, perché allo stesso tempo stavo studiando. Ho avuto molte opportunità qui, non si fa differenza tra uomini e donne, abbiamo gli stessi stipendi, lo stesso trattamento per tutto”, ci fa notare Birnea Magnea, Direttrice Vendite. Per Thor Aevarsson opportunità per tutti sono la garanzia del successo: “Penso che sia impossibile per un’azienda avere un successo redditizio a lungo termine a meno che non si abbia uno staff soddisfatto, se metà del tuo staff non è contento, è assolutamente impossibile fare un business decente. Il mio sta vendendo moltissimo, e questo rende la giornata migliore per tutti.”

This is why #Iceland ranks first for #gender equality https://t.co/qi4DbViszepic.twitter.com/rnEJTgwz6G

— World Economic Forum (@wef) February 20, 2018

La battaglia per la parità continua

Diversi anni fa è stata lanciata una campagna da uno dei principali sindacati islandesi. Una delle iniziative volte a ridurre le disparità di genere in termini di salari e di avanzamento di carriera.

Per il presidente del sindacato VR, Ragnar Þór Ingólfsson, anche con l’entrata in vigore della nuova legge l’attenzione su questo problema non deve mai venire meno. “È radicato nella nostra cultura che gli uomini devono essere pagati di più delle donne anche se ricoprono gli stessi ruoli. Noi abbiamo una legislazione sui consigli di amministrazione delle società, in base alla quale si devono i posti manageriali, per uomini e donne, devono essere divisi in modo paritario.Tuttavia è ancora difficile trovare donne che accettano di stare nei CDA. Dobbiamo continuare a lottare. Perché se ci si ferma, il divario si allarga di nuovo”, sottoliena il nostro sindacalista.

La battaglia per la parità di genere risale a molto tempo fa. La Sig.ra Gerdur Steinthórsdóttir faceva parte del comitato organizzatore del giorno chiamato “Senza donne” del 24 ottobre 1975: quel giorno il 90% delle islandesi sono scese in piazza per difendere i loro diritti. “C’erano donne che provenivano da tutto il paese, un fiume umano… Si sono radunate nella piazza come un grande oceano, è stato molto impressionante vedere tutte queste donne unite, penso sia stato il fondamento di ciò che sta accadendo oggi; c’era davvero una forte coesione”, ricoda la donna.

#Iceland paves the way for a #gender#equal society, set to penalize companies that have a #gender#pay#gap#MondayMotivation#India#feminism#equalityhttps://t.co/yKWJL8mpor

— CSR (@CSR_India) February 19, 2018

Il giorno del 1975 è diventato un esempio per tutti. Nel 2016, le donne islandesi hanno smesso di lavorare alle 2.38 del pomeriggio per protestare contro il persistente divario salariale, che rimane in media del 16%. Segno che in Islanda la voglia di affermare i diritti è molto sentita, E’ l’eredità di un secolo di lotte dei movimenti femministi e la loro forte presenza nel mercato del lavoro, come ci spiega questa professoressa, esperta di questioni di genere.

Quali sono i motivi di una tale mobilitazione? Esiste un obiettivo specifico? Secondo il Professore Þorgerður J. Einarsdóttir dell’Università dell’Islanda uno dei fattori chiave è il fatto che è un Paese piccolo. “Questo fa si che si creino stretti legami, reti, connessioni; le informazioni corrono in modo molto semplice e veloce, così le donne possono attivarsi, possono mobilitarsi anche in pochissimo tempo.”

Una mobilitazione che ha contribuito alla forte presenza delle donne in politica. Nel 1980, l’Islanda è stato il primo paese al mondo a eleggere una donna alla presidenza della Repubblica. Nel 2009, sulla scia della crisi finanziaria che ha fatto crollare il governo, una donna è diventata Premier per la prima volta in Islanda.

Nel novembre 2017, Katrin Jakobsdottir, figura carismatica del partito Sinistra – Movimento Verde, prese le redini dell’esecutivo dopo uno scandalo su un caso di pedofilia che aveva fatto cadere il precedente governo. Allo stesso tempo, tuttavia il numero delle deputate è diminuito: dal 48 siamo passati al 38%.

What Iceland can teach the world about gender pay gaps: https://t.co/KjcFxaFz9tpic.twitter.com/0o16bPejCr

— Iceland Naturally (@IcelandNatural) February 13, 2018

Uguaglianza di genere: un fenomeno anche al maschile

In Islanda, la parità riguarda anche gli uomini. Lui è Hjalmar Örn Jóhannsson, un manager che si diverte a fare sketch per i social network. “Lavoro presso l’azienda di famiglia ma al momento la mia vera occupazione è l’intrattenimento”, racconta l’uomo. “Ora vado in paternità per quasi 6 mesi, mi sto anche prendendo una vacanza, quindi starò con mio piccolino per 8 mesi in totale. Questa è l’Islanda!”

Hjalmar si prenderà cura del bimbo a tempo pieno con la sua compagna, Ljósbrá Logadóttir. Lei, direttrice di una grande banca islandese, è appena tornata al lavoro: “All’inizio ero in congedo di maternità, mi sono presa cura di tutto, ora devo passare la mano al mio compagno! Per me è davvero importante poter ritornare al mio lavoro, avere ancora il mio lavoro di prima, ho uno stipendio alto, alto quanto quello degli uomini. Dobbiamo avere uguali diritti in ogni singola sezione del paese. Non rigurda solo i soldi. Dobbiamo anche avere il diritto di badare alla casa, ed è normale.”

Normale, forse; ma nel 60% dei casi, sono ancora le donne a prendere la maggior parte dei 9 mesi di maternità. Il motivo: un genitore in congedo riceve l’80% del suo stipendio; e quelli degli uomini rimangono più alti.

Insegnare l’uguaglianza

In Islanda il concetto di uguaglianza si impara fin da piccoli, a scuola.

Hanna Björg Vilhjálmsdóttir è stata la prima insegnante a ideare un corso sulle questioni di genere in questa scuola superiore 10 anni fa. Ora questo tema, obbligatorio, è nel curriculum di 27 delle 33 scuole superiori del paese.

“Analizziamo insieme la società, proviamo a capire come e perché si siano discriminazioni di genere. Il mio obiettivo è quello di far capire che è un dato di fatto, perché non tutti sono consapevoli. Pensano solo che dovrebbe essere così. Ho capito che è una cosa importante per i ragazzi, per capire gli stereotipi. l’obiettivo finale renderli più felici. Le persone più felici rendono migliore la società”, ci spiega la Prof. Hanna Björg Vilhjálmsdóttir.

Tema del giorno: l’omofobia, diventato oggetto di studio dopo che uno studente era stato picchiato per strada. Qui vengono analiazzate tutte le forme di discriminazione. E si aiuta i ragazzi a essere tolleranti verso tutti. “È un argomento molto importante, come molte altre cose che si insegnano a scuola, come ad esempio che la biologia, la biologia vegetale … che, secondo me però non serve a molto”, dice un giovane studente. “Penso che gli studi di genere siano invece qualcosa che dobbiamo affrontare ogni giorno, in quasi tutte le situazioni.”

“Penso che non ci sarà mai uguaglianza, da nessun’altra parte, in nessuna società, se il sistema scolastico non diventerà parte integrante di questo progetto, qui si modellano le loro idee, qui si piantano i semi”, prosegue la nostra insegnante.

Piantare i semi della parità, fin dalla più giovane età. Questa è la scommessa di Margrét Pála Ólafsdóttir, da quasi 30 anni. Ha creato il metodo chiamato Hjalli, applicato in circa venti scuole materne e primarie in Islanda. Il principio: separare ragazzi e ragazze per permettere loro di realizzarsi pienamente.

Le attività sono le stesse per tutti. Anche i giochi e i vestiti, sono unisex. Una volta al giorno, bambini e bambine si incontrano per mettere in pratica ciò che hanno imparato- Un metodo che, secondo l’educatrice, consente ai ragazzini di sfuggire agli inevitabili stereotipi delle classi miste. “Vogliamo che siano tutti socievoli e allo stesso tempo forti. Con i ragazzi, vogliamo le ragazze si sentano alla pari”, dice Margrét Pála Ólafsdóttir. “Se li aiuti davvero a essere i miglior individui possibili, e non c‘è nulla di cui vergognarsi, sono tutti capaci di enormi qualità individuali sociali. E’ quello che vogliamo che diventino come persone “.

#kidsogram#4change Rwanda Ranks In The Top 5 For Gender Equality in education. Iceland is #1 and US 49th https://t.co/P5pWxg4YLppic.twitter.com/uAVaXRJPdG

— Michael Griffith ASR (@AsrGriffith) February 10, 2018

Rap e femminismo

Dalla scuola alla musica. Loro sono una rap-band tutta al femminile, le Rekjavikurdaetur, 15 ragazze che si stanno imponendo in un settore musicale non semplice.

“Ci siamo create il nostro spazio nella scena musicale, in un genere che non lascia molto spazio alle donne”, racconta una delle ragazze della band. “Sul palco facciamo esattamente quello che vogliamo senza scusarci.”

“Penso che il femminismo di oggi non riguardi solo la donna in sè, devi prenderti il tuo spazio, non aver paura di essere ciò che una donna vuole davvero essere. Non c‘è solo il sexy, è tutto un insieme di fattori. Viviamo in una società strutturata che ci tiene un gradino sotto… È un dato di fatto”, dice un’altra componente Solveig Pálsdóttir.

Questa band, all’insegna del girl-power, attualmente è anche impegnata in una campagna delle Nazioni Unite contro la violenza sulle donne. E non solo. Vogliono divertirsi, senza falsi moralismi, come i ragazzi. “La cosa più femminista è semplicemente: ESSERE se stesse, fare quello che stiamo facendo.”. Forse questo è davvero il nuovo femminismo.

Our summer is going to be soooo good! We will be going places we’ve never been b4! Zagreb is 1 of those places, others tba! https://t.co/kV5dwobDSdpic.twitter.com/nk0A2WZCmP

— Reykjavíkurdætur (@RVKDTR) February 14, 2018

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