Aumentano gli europei espulsi dal Belgio: vittime della lotta al turismo sociale

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In Belgio vivono undici milioni di persone, di cui un milione di immigrati che provengono, per il 70%, da altri Paesi dell’Unione, in particolare

In Belgio vivono undici milioni di persone, di cui un milione di immigrati che provengono, per il 70%, da altri Paesi dell’Unione, in particolare Italia, Francia e Olanda.

Negli ultimi anni, il Belgio ha inasprito le norme in materia di politica migratoria, aumentando gli ordini di espulsione emessi nei confronti dei cittadini europei. Si è passati così da otto casi registrati nel 2008 a 1.700 nel 2015.

Ad Anversa, nel nord fiammingo, incontriamo Giorgia Bergamini, una ragazza italiana con ventotto anni di esperienza professionale nel settore tessile.

Quando si trasferisce qui per vivere con il suo compagno, frequenta dei corsi per imparare la lingua e si reca all’ufficio di collocamento. Ma le spiegano che è troppo qualificata per le occupazioni che potrebbero proporle.

Poi, nel novembre 2013, riceve una lettera del comune di Anversa in cui le viene intimato di lasciare il Paese: “Hanno ripreso la carta di identità dicendomi che il mio dossier a Bruxelles era vuoto e non avevo dimostrato la volontà di adoperarmi per fare quello che questo paese richiede per poter rimanere. La follia pura”.

Tanto più che Giorgia non ha chiesto sussidi, pur avendone diritto. “Nessun sussidio. E questa é stata la prima cosa che Sven ha detto all’impiegata di turno e lei aveva risposto che era preventivo perché io avrei potuto chiederlo. Non si sà in quale anno e quale secolo”.

I regolamenti comunitari consentono di espellere gli immigrati europei sprovvisti di sufficienti risorse economiche. Ma Giorgia vuole dimostrare che ha fatto di tutto per integrarsi e quindi fa ricorso.

A suggerire la soluzione al suo caso è il giudice di appello: paxandosi con Sven, Giorgia ottiene di rimanere con lo status di compagna di un cittadino belga.

Sven Gysels: “Un po’ di paura ti rimane, perché é qualcosa che non ci aspettavamo, speriamo adesso siamo a posto”.

Tra gli europei che hanno ricevuto un avviso di espulsione, molti continuano a vivere in Belgio in situazione irregolare, nell’attesa di avere i requisiti per chiedere un altro titolo di soggiorno.

Nadia – il nome è inventato per proteggerne l’identità – è una ragazza spagnola che vuole contestare l’espulsione per vie legali.

Ad assisterla, i volontari di Europe4people, una piattaforma di associazioni spagnole, greche, italiane e belghe che si batte per difendere il diritto alla libera circolazione.

A Bruxelles dal 2012, Nadia ha lavorato come colf. Quando un infortunio l’ha costretta a rimanere a casa, è stata licenziata. Ma ha ricevuto dei sussidi e seguito dei corsi di formazione. Finché, lo scorso ottobre, il comune le ha ritirato la carta di soggiorno.

“Mi hanno detto: lei è europea ed è venuta qui per lavorare, non per studiare. Perché io avevo detto che stavo frequentando dei corsi. Ma non hanno voluto ascoltarmi, né vedere le prove che dimostravano che stavo cercando lavoro. Mi hanno detto che avevo 30 giorni per lasciare il Paese. Altrimenti la polizia avrebbe potuto multarmi”.

Una direttiva comunitaria autorizza l’espulsione dei cittadini europei che non possono dimostrare di cercare concretamente un impiego. Ma, secondo alcuni avvocati, l’amministrazione belga andrebbe ben oltre, tanto da esporsi all’accusa di discriminazione.

Sara Lafuente Hernandez, Europe4people: “In Belgio, si sta facendo un controllo sistematico delle persone che non dispongono o che non dispongono più di risorse sufficienti. E, sistematicamente, queste persone ricevono un ordine di espulsione. Ma questo controllo sistematico è espressamente vietato dalla direttiva”.

Da quando ha ricevuto l’avviso di espulsione, Nadia non ha più percepito alcun sussidio. Ma ora ha trovato un nuovo impiego, grazie al quale spera di poter contestare il provvedimento.

L’avvocato messo a sua disposizione da Europe4people le spiega che le autorità belghe hanno notificato l’ordine di espulsione due anni dopo aver preso la decisione. Inoltre, non hanno riconosciuto il suo status di lavoratrice in congedo per infortunio.

Anthony Valcke, EU Rights Clinic: “In base alle leggi europee, un lavoratore ha diritto di residenza. E lo status di lavoratore non è garantito solo a chi sta lavorando, ma anche a chi si è infortunato durante il proprio lavoro. Quindi, nel periodo in cui si è in malattia, o in convalescenza, si mantiene lo status di lavoratore”.

Gli ordini di espulsione sono emanati dall’Ufficio per gli Stranieri di Bruxelles, che segue le linee guida del segretario di stato all’immigrazione. L’obiettivo dichiarato è contrastare il cosidetto “turismo sociale” dei cittadini dell’Unione, per evitare che gravi sul welfare belga.

Dal 2011, questo ufficio ha stabilito una stretta collaborazione con il dipartimento per gli affari sociali che lo informa sul numero degli immigrati europei che ricevono sussidi. Incrociando i dati, hanno espulso più di diecimila cittadini comunitari negli ultimi cinque anni.

“Se non contribuiscono a finanziare il sistema pubblico di questo Paese o se non lo hanno mai fatto, limitandosi a ottenere dei benefici, allora revocheremo loro lo statuto di residenti”, afferma Geert de Vulder, portavoce dell’Ufficio per gli Stranieri.

L’avvocato che segue Nadia sta raccogliendo un dossier che documenta un centinaio di casi giudiziari riferiti a cittadini europei espulsi dal Belgio. Anthony Valcke vuole dimostrare che l’amministrazione sta applicando i regolamenti comunitari in maniera troppo rigida e tenta di ottenere l’apertura di una procedura di infrazione da parte della Commissione europea.

“La legge europea richiede che ci sia una valutazione circostanziata, caso per caso, prima che una persona venga espulsa – spiega – Sfortunatamente, vediamo che questa valutazione non è fatta individualmente su ogni persona. Le lettere che vengono inviate non contengono le informazioni necessarie per far capire agli interessati quali documenti devono fornire, né che dovrebbero avvalersi di una consulenza legale”.

Francia, Belgio, Regno Unito e Paesi Bassi sono tra i Paesi che effettuano il più alto numero di espulsioni. Ma mancano le statistiche complete a livello comunitario. Per fare pressione sulle autorità europee, Valcke si avvale della collaborazione dei sindacati belgi e anche di quelli italiani.

Jean-Francois Tamellini, segretario generale della belga FGTB, discute con un collega della CGIL sulla strategia da seguire nei prossimi mesi. Il loro timore è che, dopo la Gran Bretagna, altri Paesi vogliano tentare di limitare l’erogazione delle prestazioni sociali per i lavoratori europei.

“Temo un irrigidimento da parte della Commissione europea, dopo il dibattito sul Brexit e nel contesto della crisi dei migranti, compresi quelli non europei – dice Tamellini – Si fa un passo avanti sulla libera circolazione dei capitali, ma la Commissione potrebbe chiudere sulla libertà di circolazione per i cittadini. E il caso belga può illustrare questo elemento”.

I sindacati si battono per l’effettivo riconoscimento dei diritti sociali di cittadini come Giorgia, che ha alle spalle anni di contributi versati in Italia, anche quando si spostano da un Paese all’altro.

“E’ andata bene fino a quando si spostavano solo le mozzarelle – dice la ragazza – adesso non si spostano solo le mozzarelle, ma si spostano anche le persone e nessuno ha fatto niente per valutare questo. Io l’impressione che ho é che ogni paese tiri sempre piu’ su i propri confini e che non consideri una fortuna questo scambio.”

Sulla carta, questi diritti sono riconosciuti. In concreto, non sempre. E questo è un problema, se si tiene conto che, nel 2012, 10 milioni di europei non risiedevano nel proprio Paese di nazionalità.

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