2023: l'anno delle bancarotte, ecco le aziende fallite

Un ciclista passa davanti a una filiale di Wilko a Londra
Un ciclista passa davanti a una filiale di Wilko a Londra Diritti d'autore JUSTIN TALLIS/AFP or licensors
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Di Indrabati Lahiri
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Questo articolo è stato pubblicato originariamente in inglese

Euronews Business ha analizzato alcuni dei principali fallimenti dell'anno

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L'anno che sta per finire ha visto una serie di grandi e del tutto inaspettati fallimenti. Un numero che nel secondo trimestre del 2023 ha raggiunto il livello più alto dal 2015.

Le bancarotte hanno riguardato diverse aziende, da quelle di vendita al dettaglio alle banche. 

Sebbene alcuni dei maggiori fallimenti siano avvenuti negli Stati Uniti, come la Silicon Valley Bank e FTX, anche l'Europa ha visto alcune aziende chiudere i battenti nei 12 mesi appena passati.

Tra i fallimenti, quello della catena di negozi di ferramenta Wilko è stato probabilmente uno dei più noti. A gennaio l'azienda aveva preso in prestito quaranta milioni di sterline da Hilco Capital, una società di ristrutturazione. Un mese dopo Wilko ha annunciato il taglio di quattrocento posti di lavoro e ad agosto ha rivelato di essere in amministrazione controllata.

Con dodicimilaposti di lavoro tagliati e quattrocento negozi chiusi, Wilko si è ritrovata con circa 625 milioni di sterline di debiti. Il crollo è stato imputato a Wilko per non essere stata abbastanza rapida nel tagliare i prodotti a scarso rendimento e per aver rifiutato il sostegno ai licenziamenti pur rimanendo aperta durante la pandemia. L'azienda è stata anche accusata di aver fatto troppi prestiti e in fretta, senza un piano di riduzione dei costi approfondito o di espansione dell'e-commerce. 

Tuttavia, altre catene di vendita al dettaglio come Poundland, B&M e The Range sono intervenute per acquisire il marchio Wilko e alcuni dei suoi negozi, impegnandosi ad assumere parte del personale licenziato e a rilanciare l'attività online di Wilko.

Anche la catena belga di panetterie Le Pain Quotidien ha annunciato una crisi della sua divisione britannica nel luglio 2023. Da allora la catena ha chiuso quasi tutte le sue filiali nel Regno Unito

Dopo aver dichiarato l'insolvenza per le filiali belghe e statunitensi nel 2020, l'azienda ha raggiunto un accordo con Aurify Brands per rilevare le sedi statunitensi; quest'ultima ha accettato di ripristinare mille posti di lavoro, riaprendo circa 35 panetterie.

L'attività dei negozi è stata duramente colpita dalla pandemia, con un drastico calo della clientela, soprattutto a causa dell'aumento del costo della vita e dell'inflazione. Ma anche per quello degli affitti e del lavoro che hanno ulteriormente peggiorato i margini di profitto.

Nel 2023 è stato l'anno della crisi definitiva della catena di cartolerie Paperchase a causa dei cambi di proprietà. Il marchio è stato rapidamente rilevato da Tesco, continuando a rifornirsi di gran parte della merce, ma con un alto numero di negozi Paperchase chiusi. 

La catena ha dovuto affrontare una concorrenza sempre più spietata da parte di altri competitor del settore cartoleria come Flying Tiger, Smiggle, Card Factory e the Works, oltre a rivenditori come John Lewis.

Un pedone passa davanti a una filiale della catena di supermercati britannica Tesco ad est di Londra
Un pedone passa davanti a una filiale della catena di supermercati britannica Tesco ad est di LondraAFP

In primavera, ad aprile 2023, a chiudere i battenti è stato il venditore online di libri Book Depository, in seguito a importanti cambiamenti da parte di Amazon, la casa madre dell'azienda, per la riduzione dei costi del reparto libri.

Ciò è avvenuto dopo che Amazon ha annunciato il taglio di circa 27mila posti di lavoro in tutta l'azienda, distribuiti tra gennaio e marzo 2023. 

Anche la catena di supermercati di alimenti surgelati Iceland ha annunciato la chiusura della sua filiale irlandese a giugno. La decisione è stata presa in seguito alla dichiarazione di fallimento del gestore della filiale irlandese, Metron Stores, con un debito di circa 36 milioni di euro.

Iceland ha subito un duro colpo anche dopo il richiamo di diversi prodotti, inclusi carne, pollo, uova e pesce, a causa di sospetti sulla loro origine. Pesanti critiche sono arrivate per il modo in cui la compagnia ha gestito la chiusura in Irlanda, in alcuni casi non dando alcun preavviso ai dipendenti licenziati. 

L'azienda britannica di piastrelle Tile Giant ha invece optato per un accordo di insolvenza preconfezionata (una sorta di procedura fallimentare) a febbraio, prima che venisse nominato un curatore fallimentare. 13 negozi sono stati chiusi e circa 43 posti di lavoro sono stati tagliati in seguito all'operazione, attuata soprattutto perché l'azienda aveva bisogno di più fondi di quelli inizialmente previsti.

Sempre ad aprile il rivenditore di gioielli Vashi ha annunciato di essere in crisi in seguito a un avviso di liquidazione da parte di Canary Wharf. 

Importanti uomini d'affari della City di Londra avevano investito decine di milioni di dollari nell'azienda, composta da quattro negozi e circa duecento dipendenti. Tra gli investitori figuravano il fondatore dell'azienda di camicie Charles Tyrwhitt, Nick Wheeler, Sinclair Beecham cofondatore di Pret a Manger, e Willam Jackson, amministratore delegato di Bridgepoint, una società di private equity. Dopo la chiusura, sono stati sollevati altri interrogativi sulla governance e sulla supervisione finanziaria di Vashi.

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A settembre, il marchio di moda etica People Tree ha annunciato che avrebbe liquidato la sua filiale nel Regno Unito, dopo che i debiti erano saliti a circa 8,3 milioni di sterline. L'azienda doveva centinaia di migliaia di sterline a investitori come Oikocredit e Shared interest, oltre che ai principali fornitori in India.

Pur imponendo standard elevati nel commercio etico e nell'artigianato etnico, da luglio l'azienda non è stata in grado di pagare gli stipendi a diversi dipendenti, e ad agosto ha infine deciso di licenziare gran parte del personale.

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