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Come cambierà il tennis dopo Covid-19? Ecco cosa ci dice Adriano Panatta

Virus Outbreak Germany
Virus Outbreak Germany Diritti d'autore Michael Probst/Copyright 2020 The Associated Press. All rights reserved
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Di Cecilia Cacciotto
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Come cambierà il tennis dopo Covid-19? Ecco cosa ci dice l'ex campione italiano #AdrianoPanatta, che ricorda con noi alcune sue partite che hanno fatto storia

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“Possiamo sentirci nel primo pomeriggio? Devo dirle la verità sto facendo la spesa”.

All’altro capo del telefono c’è Adriano Panatta, un mito del tennis anche per quelli della mia generazione.

Cominciavo a impugnare una racchetta quando Panatta aveva raggiunto il picco della carriera e, quando ho iniziato a tirare qualche colpo contro il muro nella casa dei nonni, la curva della parabola del campione - per quanto avesse già imboccato la discesa - per me era ancora crescente.

Parlargli è un sogno che si realizza anche ai tempi di Covid-19, alle prese con altre parabole e curve.

Anche l’appuntamento telefonico del pomeriggio però alla fine salta. Gli chiedo se riusciamo a fare qualche cosa anche per la televisione e, anche se il confinamento ci limita, potremmo provare con le nuove tecnologie a fare un collegamento.

“Facciamo una cosa, rimandiamo tutto a domani, che oggi sono quasi un Babbo Natale”.

I piccoli circoli di tennis

La semplicità del grande campione, che alimenta il suo mito con le gesta di una quotidianità quasi banale, rimandano alle sue mitiche vittorie in campo. Dove si muoveva con l’eleganza che oggi nel tennis non esiste quasi più.

Finalmente riusciamo a sincronizzare telefoni, smart-chiamate e vengono fuori anche un paio di dichiarazioni che posso usare per la televisione.

Covid-19 ha già fatto saltare Montecarlo, Roma e Wimbledon, il Roland Garros è ancora in forse, potrebbe slittare a fine agosto/inizio settembre.

-Adriano Panatta, è finita la stagione tennistica 2020?

“Il tennis è lo sport dove effettivamente c’è il distanziamento sociale più importante, detto questo non era pensabile non fermare tutto. Anche immaginando i tornei a porte chiuse, cosa che personalmente non riesco a concepire, c’è sempre troppa gente che gravita intorno a un torneo”.

“Nel giro di un mese massimo, almeno secondo me, però tutto verrà riavviato - dice - si stanno mettendo a punto nuovi protocolli: si sta pensando che il cambio campo veda un giocatore passare da un lato e l’altro dal lato opposto; i raccattapalle non porgeranno più l’asciugamano all'atleta, giusto per fare qualche esempio. E i tornei in terra rossa potrebbero essere giocati verso settembre-ottobre quando in Europa si può ancora giocare all'aperto”.

-Resta però il dubbio palline: come giocare con palline a prova di virus?

Insomma, anche il tennis sta cercando di adeguarsi all'emergenza e studia il modo di riprendere in piena sicurezza, ma la vera preoccupazione per Adriano Panatta sono i piccoli circoli:

“Sono più preoccupato per il tennis amatoriale, il tennis che si svolge nei circoli. Tutti sono fermi ormai da troppo tempo e se non si ricomincia, le attività avranno grossi problemi di sopravvivenza, penso ai maestri che non lavorano. Certo, la situazione è critica e uguale a quella di molti altri settori”.

Sconvolgimenti in classifica?

E sia nei piccoli circoli che a livello professionistico tutti stanno a casa e non si allenano: “Per chi sta qui in Europa e negli Usa per lo meno è così, seguo Nadal su Instagram e vedo che gioca con la moglie a casa”.

-Ci sarà un calo fisico e nella preparazione dei grandi tennisti?

Pensa proprio di no, Adriano Panatta, che sa che ritorneranno in pista forti come prima del Covid-19, “Così come non credo che ci saranno grosse sorprese in classifica al rientro, sia a livello maschile che femminile”.

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Resteranno le cicatrici, però. “Basti pensare solo al parco di Flushing Meadows a New York (dove si tengono gli US Open, ndr) che oggi è trasformato in un ospedale Covid”. Anche qui difficile immaginare una riapertura per settembre.

-Personalmente come sta vivendo l’emergenza, è preoccupato?

“Sono molto casalingo, per cui non mi sta pesando più di tanto e come tutti in questi giorni porto a termine quelle cose per cui non si ha mai tempo. Mi pesa non vedere i miei figli, i miei nipoti, questo sì. Ma faccio la mia parte, sto a casa e sono grato a chi in questi giorni è in prima linea”.

-Come immagina la fase 2?

“Per me sarà uguale alla prima, dal momento che i miei figli non vivono nella mia stessa Regione e non potrò comunque andare a vederli. Una cosa però vorrei sottolinearla: spero che nella società che verrà si dia più peso a certe attività: medici e infermieri e tutti gli operatori sanitari si sono spesi con un’abnegazione commovente e spero che questo venga riconosciuto. E per sempre. Ma non basta, spero vivamente che si metta mano al settore sanitario nel nostro Paese, per scongiurare un’altra crisi di questo tipo”.

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Il tennis romantico vs. il tennis urlato

Considerato uno dei giocatori più grandi di sempre, un virtuoso della veronica (una sorta di smash di rovescio, che forse ha inventato lui), Panatta ha un po’ di nostalgia, ma senza esagerare, per il suo tennis che lui definisce romantico.

“Ma che vuole, ogni epoca ha il suo tennis. Oggi è molto più fisico, più gridato. Viene insegnato a urlare in campo, perché sembra che serva per acquisire il timing sulla palla; io il timing sulla palla ce l’avevo anche se non urlavo per ogni colpo”.

E per Adriano Panatta la speculazione tutta giornalistica ‘se potesse proiettarsi sui campi oggi, con le racchette di oggi e l’allenamento di oggi che campione sarebbe’ lascia un po’ il tempo che trova.

“Sarebbe invece bello vedere giocare con le racchette di legno i giocatori di oggi, per vedere l’effetto che fa”. E se anche lui si inchina di fronte al principe del tennis del terzo millennio, Roger Federer, il cuore è tutto per l’Italia. “Abbiamo tanti talenti che sono stati strepitosi nell'ultima stagione: Sinner, che è un talento unico al mondo e poi nei primi dieci abbiamo Berrettini e Fognini”.

Per la prossima stagione l'auspicio dell'ex campione è che gli italiani si impongano in vetta ai grandi tornei.

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La maglietta rossa nel Cile di Pinochet

Panatta ha scritto non solo una pagina della storia del tennis, ma a modo suo si è insinuato anche nell'altra Storia, quella con la S maiuscola. Era il dicembre del 1976 e l’Italia si apprestava a giocare l’ultima partita della Coppa Davis, nel Cile del generale Augusto Pinochet.

La squadra italiana era composta da Adriano Panatta, appunto, Corrado Barazzutti, Antonio Zugarelli, Paolo Bertolucci. Nicola Pietrangeli era il capitano.

La partenza degli italiani fu accompagnata da un acceso dibattito politico tra favorevoli e contrari a boicottare i match in programma. Gli azzurri erano dati per favoriti.

Fu l’allora Segretario del Pci, Enrico Berlinguer, su pressione dello stesso partito comunista cileno, a scendere in campo a favore della partenza della squadra italiana. Boicottare il torneo, lasciando vincere a tavolino la Coppa Davis al Cile, si sarebbe trasformato in uno strumento di propaganda per il regime cileno. Bisognava volare in Cile e giocare.

Nicola Pietrangeli fu minacciato di morte, Adriano Panatta allora aveva 26 anni e anche lui venne preso di mira dagli slogan di piazza: “Panatta milionario, Pinochet sanguinario”, oppure “Non si giocano volée con il boia Pinochet”.

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In Sudamerica gli Azzurri vinsero facilmente i primi due singoli. Mancava solo il doppio per aggiudicarsi l’insalatiera d’argento. E alla vigilia di quel 18 dicembre del 1976 Adriano Panatta ebbe un colpo di genio.

“Ho proposto a Corrado di indossare la maglietta rossa. Mi venne quasi naturale dopo quello che avevamo sentito e lo proposi a Corrado con estrema semplicità”. Dopo un’iniziale titubanza di Barazzutti, i due tennisti scesero in campo in rosso.

In realtà l’effetto urto non fu immediato, il gesto simbolico forte contro il dittatore (solitamente la tenuta dei giocatori era bianca), fu messo in sordina forse dalla vittoria. Forse da altro.

“O forse all'epoca non fu proprio notato, mi viene anche questo dubbio - dice Panatta -. Qualche anno dopo ne parlai con il regista Mimmo Calopresti e ne venne fuori un docufilm”.

-Oggi per che cosa lo sport dovrebbe vestire la maglietta rossa?

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“Sono tante le situazioni, non ne vedo una più critica di un’altra. Direi che per il momento è bene vestire la maglietta azzurra e speriamo di uscire quanto prima da questa emergenza”.

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