Battaglia di Mosul: cosa c'è in gioco

Battaglia di Mosul: cosa c'è in gioco
Di Euronews
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Due anni fa, Mosul, la seconda città irachena cadeva in mano a Daesh che da qui proclamava la nascita del Califfato “Stato islamico dell’Iraq e dell’Oriente”.

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Due anni fa, Mosul, la seconda città irachena cadeva in mano a Daesh che da qui proclamava la nascita del Califfato “Stato islamico dell’Iraq e dell’Oriente”.

La città che conta oltre 1,5 milioni di abitanti è un nodo commerciale e petrolifero strategico.

La dichiarazione del califfo Abu Baker Al Baghdadi che ne annunciava la nascita guardava lontano.

Perdere oggi Mosul per Daesh sarebbe l’inizio della fine.
Pertanto i miliziani, che si calcola siano almeno 5000, difficilmente si arrenderanno.

Mosul è più che mai un crocevia di interessi diversi che rispecchiano le forze oggi in campo impegnate nella sua liberazione.
La sua liberazione è decisiva e gli scenari che si possono ipotizzare per il dopo sono i pIû diversi.

In campo troviamo:l’esercito iracheno, i peshmerga curdi (l’esercito del Kurdistan iracheno), diverse milizie sciite controllate dall’Iran, 1.500 combattenti iracheni addestrati dalla Turchia e le forze antiterrorismo irachene addestrate dagli americani.

La coalizione anti-ISIS è sostenuta anche dagli Stati Uniti, sia con attacchi aerei sia con l’azione di alcune piccole unità speciali in aiuto alle forze di terra, in tutto circa 5000 uomini che rappresentano il 10% delle forze in campo.

Ci sono anche 500 militari francesi.

Il governo iracheno deve superare anche la diffidenza interna della popolazione a maggioranza sunnita, E per il premier Haider al-Abadi Mosoul rappresenta solo un primo test:

“Se Dio vorrà, uniti celebreremo la liberazione e la libertà di Mosul. Costruiremo una provincia dove religioni e sette convivranno insieme”.

Qualche segno delle future tensioni si può già vedere. Il primo ministro iracheno aveva chiesto che in ogni città conquistata nell’operazione per liberare Mosul venisse issata la bandiera irachena. E non è il caso.

Per i peshmerga curdi, in prima linea contro Daesh fin dall’inizio, Mosul e i suoi pozzi petroliferi, rappresentano un prolungamento naturale del Kurdistan iracheno. E le intenzioni sottointese dei curdi non piacciono al presidente turco Erdogan, che ritiene la città di Mosul ancora un bastione storico della Turchia.

“Vogliamo essere presenti per tutelare libertà.
Vogliamo essere in modo particolare a Mosul dove si gioca il futuro”.

Sembra che parte del piano della coalizione si basi anche sull’eventuale ribellione degli abitanti di Mosul contro lo Stato Islamico.

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